Metaverso, intelligenza artificiale, immersività… Tutto questo è (anche) comunicazione, ma che fine fanno le relazioni?

I tempi odierni ci impongono una riflessione circa il cambiamento negli approcci al mondo dei media. Tutto cambia, forse. Ma molto rimane, per fortuna. Luisa Cavagnera, dal 2019 è titolare del corso sull’ufficio stampa organizzato dalla Fundraising Academy con l’obiettivo di internalizzare le competenze per avviare e gestire il rapporto con i media. Quest’anno, torna con la quarta edizione. Le iscrizioni sono aperte.

Buona lettura.

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Sbarcare sul Metaverso, proporre esperienze immersive, lavorare con l’intelligenza artificiale… Sono i nuovi imperativi per le organizzazioni, profit e non profit. La comunicazione è a monte e a valle di queste esperienze, le piattaforme e i canali per raggiungere le nostre audience sono molti e sempre più affascinanti, li governiamo direttamente, senza mediazioni, riducendo o addirittura eliminando il confronto con i potenziali interlocutori e le relazioni con essi.

In questo contesto, per chi lavora con le media relations (dette anche, a mio avviso riduttivamente, ufficio stampa) il dubbio di essere ormai residuali se non a rischio archiviazione è legittimo.

Eppure, e per nostra fortuna, la visibilità sui media cosiddetti “classici” (giornali di carta o digitali, radio, televisione) continua ad essere uno strumento importante per costruire una conoscenza meno superficiale (rispetto ad altri canali) e soprattutto la reputazione di un’organizzazione, in particolare presso gli stakeholder di riferimento. Passando attraverso una dimensione che sembra anch’essa un po’ residuale ma che conserva un altro tipo di fascino: quello del rapporto umano e della creatività che nasce dall’incontro fra persone. È la dimensione della relazione, del confronto, del lavoro a quattro mani con i giornalisti.

Come tutte le attività che fronteggiano una spietata concorrenza, le relazioni con i media richiedono, per essere efficaci, una professionalità che si può costruire con la giusta formazione, che deve conoscere il contesto in cui si muove ed evolvere con esso ma soprattutto improntarsi a qualità e onestà intellettuale.

Qualità della professione di comunicatore significa innanzitutto saper individuare, o costruire contenuti realmente di valore da proporre ai media. Ci impone di ascoltare e comprendere cosa davvero interessa alle audience a cui vogliamo arrivare, e quindi agli interlocutori con i quali dobbiamo confrontarci, i giornalisti.

Onestà intellettuale vuol dire aiutare le organizzazioni per cui lavoriamo ad uscire dall’autoreferenzialità, a capire cosa ha davvero senso comunicare e a farlo bene. Costruire con, e non solo per i giornalisti le opportunità di raccontare i contenuti che ci interessa valorizzare.

Le realtà del Terzo Settore hanno, nella maggioranza dei casi, le persone al centro del loro purpose. Hanno quindi un’abitudine alla relazione, al confronto, alla collaborazione che può essere messa a frutto anche nella comunicazione.

È un ottimo punto di partenza. Poi, certo, è indispensabile saper costruire una strategia di comunicazione coerente con gli obiettivi dell’organizzazione, scrivere bene, costruire una media list efficace, organizzare un evento (reale, digitale, ibrido…) impeccabile, gestire con professionalità una media partnership. Ma tutto questo, per fortuna, si può ancora imparare.

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