Followers, like, stories… siamo tutti lì, ma poi “l’intervista sul Corriere” è ancora un’ambizione per molti manager, che siano di organizzazioni profit o non profit.

A raccontarcelo, Luisa Cavagnera, che per la Fundraising Academy terrà la quinta edizione del corso di formazione Organizzare l’ufficio stampa per il Terzo settore. 7 ore online e solo venerdì, 12 maggio 2024. Buona lettura

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ChatGPT, che meraviglia (ed è vero, secondo me), ma poi un comunicato stampa davvero efficace ha ancora bisogno dell’intelligenza della persona, della raffinatezza di un comunicatore professionale. Anche perché l’interazione con gli strumenti di intelligenza artificiale generativa è tanto più produttiva e gratificante quanto più siamo in grado di fare a quei software le domande giuste. E di raccogliere le loro “proposte” come base per concentrarci ancora meglio sul pensiero laterale, sull’idea creativa che ci consenta di distinguerci, nel raccontare le storie e i valori delle nostre organizzazioni.

È per questo che serve ancora imparare come si fa l’ufficio stampa, o meglio le media relations. Dove il termine più importante è il secondo, “relazioni”. Che sono poi, anche nell’era del solipsismo da social, alla base, e la ragione, di qualsiasi attività di comunicazione.

Comunicare con i media per conto di un’organizzazione insegna innanzitutto a individuare ciò che di quella organizzazione vale la pena davvero raccontare, uscendo dall’autoreferenzialità e pensando “cosa interessa davvero a chi mi ascolta là fuori?”.  È innanzitutto un esercizio di ascolto, appunto verso il mondo “là fuori”. E non il mondo genericamente inteso bensì esattamente le persone (le audience) a cui voglio parlare: per far conoscere (creare awareness), costruire una reputazione, coinvolgere in un’attività di fundraising, sensibilizzare, modificare la percezione su un tema, innescare cambiamento nei comportamenti.

Avere un obiettivo (di business e quindi di comunicazione), identificare i pubblici di riferimento e i media che ai quei pubblici parlano, studiare il loro linguaggio, stile, posizionamento. Costruire una strategia di comunicazione. Selezionare i contenuti e i messaggi che l’organizzazione vuole dare e declinarli per ciascuna audience, con gli strumenti, lo stile, i tempi, le modalità giuste.  La mia esperienza con le organizzazioni mi insegna che questo processo di lavoro, apparentemente ovvio, (troppo) spesso non viene applicato. Invece funziona, e vale la pena impararlo, sperimentarlo e metterlo in pratica.

Ci sono due parole che non mi stanco di ripetere quando mi confronto con persone si affacciano al mondo della comunicazione professionale (di cui le media relations sono ancora una parte importante): qualità e onestà intellettuale. Sembrano termini desueti. Al contrario, sono forze utilissime per affrontare una competizione che non è fatta più solo di professionisti ma di… ciascuno di noi, da che siamo diventati tutti comunicatori o (addirittura) influencer, anche solo nelle nostre “bolle” social!

Le relazioni, incluse quelle professionali col mondo dei media, offrono la grande opportunità di imparare a “mettersi nei panni” degli altri, di vedere le cose da punti di vista differenti, di esercitare la creatività per farsi ascoltare nel frastuono che ci circonda.

E quindi… non chiamiamolo più (solo) ufficio stampa!

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