89240224 - melbourne, australia - february 7, 2016: lentil as anything is a social enterprise vegetarian restaurant at abbotsford convent in inner city melbourne.

Che differenza c’è, se c’è, tra ente nonprofit e impresa sociale? Perché occorre approfondire il valore semantico delle parole che usiamo con tanta, a volte estrema, facilità? Nei primi giorni d’agosto, Giorgio Fiorentini, Senior Professor all’Univesità Bocconi, pubblica sul suo profilo Facebook un ragionamento lungo e complesso su alcuni temi tra cui quelli in premessa non sono che un esempio. La sua è un’analisi puntuale e lucida che ho letto tutto d’un fiato, assaporando con molto piacere ogni paragrafo.

Gli ho chiesto una stesura per il blog. Eccola. Vista la vastità del tema, ho pensato la suddivisione in due parti: quella che leggi qui e una seconda, incentrata sulla relazione tra impresa sociale, marketing e fundraising che uscirà il prossimo 30 agosto. Ringrazio il professore per disponibilità e ti lascio alla lettura. Merita.

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L’evoluzione dei sistemi di welfare state verso i più flessibili e innovativi sistemi di welfare community, generati dallo sviluppo dei modelli di sussidiarietà orizzontale e circolare, amplia e articola il dibattito sui processi di scambio e sulle imprese sociali non profit, anche alla luce dell’evoluzione delle collaborazioni e delle partnership fra pubblico-privato profit-privato non profit. Questo avviene in un contesto di transizione da modelli di esternalizzazione (convenzione, appalto, accreditamento, ecc.) alle nuove forme di imprenditorialità integrata su base privata.

Da un «welfare categoriale» (giovani, anziani, bambini, disabili, tossicodipendenti e così via) a un «welfare universalistico a sussidiarietà variabile (WUSV)» che per sua natura è integrato e olistico e taglia trasversalmente tutto il sistema Paese.

Il WUSV è l’offerta di beni e servizi sociali per tutti i cittadini ponendo il focus sul ruolo delle imprese sociali non profit (e profit) che in modo sussidiario, rispetto allo stato, producono ed erogano beni e servizi con una formula imprenditoriale sociale che adotta criteri di gestione economico aziendale e quindi con efficienza, efficacia, economicità e continuità.

Per uscire dalla retorica definitoria si sottolinea che la flessibilità dell’assetto delle imprese sociali non profit crea le condizioni per scegliere le migliori azioni operative per soddisfare la domanda dei cittadini che assumono il ruolo di clienti che scelgono rispetto ad una offerta che è in un contesto di «concorrenza collaborativa».

È ineluttabile entrare nella logica del WUSV; cioè non esiste più la possibilità (reale) di avere un welfare universalistico assoluto per tutti, senza compartecipazione finanziaria (famiglie, singoli, imprese ecc.), che possa dare risposta da parte dello stato per tutti i bisogni del sistema, ma dobbiamo porci nella dimensione in cui ci sono alcuni cittadini che, proprio perché sono «clienti» dello Stato, comprendono che devono partecipare e contribuire ai costi del sistema nella fruizione dei servizi di pubblica utilità dello Stato, prodotti ed erogati dal privato profit e non profit in una logica di “filiera sussidiaria”..

Il WUSV estende il sistema di welfare pubblico a tutte le fasce della popolazione, creando un contesto che offre l’opportunità (in alcuni casi l’obbligo) di erogare servizi a pagamento (es. badante), sviluppando una reale logica universalistica e al contempo redistributiva. Inoltre, sviluppa servizi in grado di sostenersi economicamente con un equilibrio economico finanziario in aree di bisogni tradizionalmente scoperte dal sistema di welfare pubblico (supporto alle separazioni, conciliazione vita-lavoro, silver age, monitoraggio fragilità)[1].

Ma come si organizza questa tipologia di welfare? Le caratteristiche del WUSV, in logica economico aziendale, sono:

  • capacità di adeguare progressivamente e “time to market” l’offerta di servizi riconoscendo l’evoluzione della domanda;
  • integrare il finanziamento universalistico. Per esempio, integrare l’indennità di accompagnamento, con altre risorse, se ed in quanto disponibili per il cittadino singolo e di cui viene identificata l’esistenza in modo istituzionale (per es. Isee) oppure volontariamente messe a disposizione dal cittadino stesso (assicurazioni private, risorse da reddito, ecc);
  • modello di imprenditorialità sociale diffusa per adeguare le istituzioni ai princìpi economico-aziendali dell’efficienza, efficacia, economicità; continuità garantita;
  • integrare la complessità dell’offerta istituzionale pubblica di servizi di welfare con la semplificazione gestionale aziendale dell’offerta operativa privata di utilità pubblica;
  • sviluppare aree e forme di raccolta di risorse private che coprono i bisogni di servizi di utilità pubblica (sviluppare iniziative di raccolta di donazioni, costituire fondi a finalità sociale gestiti da intermediari filantropici, social bond, trust a finalismo sociale ecc.).

WUSF Fiorentini

Il modello di WUSV si attua, e attualizza, tramite il sistema di “filiera sussidiaria aziendale” che è composto da una o più filiere sussidiarie attive per il raggiungimento degli obiettivi/risultati del sistema stesso e percepiti/fruiti dai cittadini in una logica di interesse pubblico e bene comune/collettivo da mantenere e sviluppare.

Ma come si sostiene questo welfare? Quali passaggi di cultura gestionale?

Eccoli:

  1. sviluppando capacità manageriali e gestionali nelle imprese sociali non profit e profit;
  2. è prioritario un approccio di marketing utile a mantenere l’equilibrio fra l’offerta e la domanda di beni e servizi sociali con un indispensabile e proporzionato assetto economico-finanziario;
  3. un orientamento al servizio che integra la qualità tecnico specialistica adottata con la qualità di cessione ed erogazione, informazione e comunicazione percepita dal cittadino-cliente.

Una premessa è d’obbligo:

la definizione di impresa sociale di questo scritto che si basa sui principi di tipo “economico aziendale” e non si riferisce esclusivamente all’impresa sociale “ex-lege” (D. lgs.112- 3 luglio 2017), ma alle organizzazioni-aziende che sono la struttura portante di tutti gli attori economico sociali del Terzo Settore (l.106/2016; D. lgs.117/2017; D. lgs.112- 3 luglio 2017).

Infatti, si assume il concetto economico-aziendale che il fine generale dell’impresa è “concorrere per molteplici vie alla promozione della persona umana” e che il reddito non è il fine esclusivo dell’impresa, ma “è una parte del sistema dei valori” della dinamica economica, appare evidente che il concetto di impresa sociale è da legittima sia dal punto di vista economico aziendale sia dal punto di vista giuridico.

In termini reali e nel contesto della “narrativa” che riguarda il terzo settore si evidenzia che nella maggioranza dei convegni e delle occasioni pubbliche di confronto gli esponenti degli ETS (ed ovviamente delle imprese sociali “ex lege”) denominano le proprie organizzazioni, genericamente, come imprese  sociali. E questo vale anche per il mondo della cooperazione in generale. Tutto ciò si giustifica perché

il concetto di impresa sociale non solo è più comprensibile rispetto alle distinzioni giuridiche, ma è diffuso il concetto positivo dell’imprenditorialità sociale come “pars construens” di un sistema socio-economico positivo e di valorialità operatività.

Il generale contesto socio-economico è composto, dal punto di vista economico aziendale, dagli istituti socio-economici. Essi, per definizione, dovrebbero avere un valore morale e sociale in “re ipsa” ed esso deve essere salvaguardato e sviluppato non solo per un “dover essere” valoriale inerente l’etica che ogni comunità dovrebbe salvaguardare e sviluppare, ma anche per il consolidamento e il dinamismo virtuoso del contesto sociale che è condizione indispensabile per lo sviluppo economico del sistema stesso.

La società umana dunque, si presenta come insieme di istituti socio-economici. L’impresa, cellula fondamentale della produzione, è tipicamente istituto economico sociale, caratteristicamente un istituto economico; nella considerazione sociologica un corpo intermedio tra la persona e la famiglia e le comunità politiche.

Scopo dell’impresa non è semplicemente la produzione del profitto o dell’utile, bensì l’esistenza stessa dell’impresa come comunità integrata di uomini e risorse che, in modi e combinazioni diverse, perseguono il soddisfacimento dell’interesse generale e dei bisogni fondamentali della società. Essi costituiscono un particolare insieme di risorse al servizio dell’intera società e inoltre

il profitto e l’utile sono evidenze aziendali di performance economico-finanziarie a cui bisogna aggiungere “la considerazione di altri fattori umani e morali che, sul lungo periodo, sono almeno altrettanto essenziali per la vita dell’impresa”.

WUSF 2 Fiorentini

Prima della Riforma del Terzo settore (l.106/2016) nonché dell’emanazione del Codice del Terzo settore (D. lgs.117/2017) e della Revisione della disciplina in materia di impresa sociale (D. lgs.112- 3 luglio 2017) la caratteristica che distingueva l’impresa sociale non profit da quella for profit era la non finalità di lucro (o vincolo di non lucrosità); cioè l’eventuale produzione di profitto, che avviene tradizionalmente nell’impresa, non era collegata alla valorizzazione degli apporti di capitale o di lavoro, ma, nell’impresa sociale non profit, solo o prevalentemente al raggiungimento dei fini istituzionali.

Più ampiamente il vincolo di non lucrosità, si esplicitava nell’obbligo al totale reinvestimento degli utili realizzati nello svolgimento dell’attività istituzionale o al totale loro utilizzo ad incremento del patrimonio – il che determinava l’assoluta non remuneratività del capitale impiegato. Essa imponeva:

  • un divieto assoluto/relativo di distribuzione degli utili e riserve a soci, amministratori e a soggetti terzi e un tetto di remuneratività a lavoratori e finanziatori terzi, il che ne sanciva la non speculazione;
  • un obbligo di devoluzione gratuita del patrimonio residuo, in caso di cessazione dell’impresa ad altra impresa o ente finalisticamente omologo, il che innescava la formazione di una capitalizzazione di carattere collettivo; si ribadiva il divieto di non remunerabilità a vantaggio di terzi.

Il paradigma dell’accezione minimalista, riduttiva ed errata del «no profit» (senza profitto in assoluto) è ulteriormente mutato con la Riforma del Terzo settore (l. 106/2016) e con l’emanazione del Codice del Terzo settore (D. lgs.117/2017) e della Revisione della disciplina in materia di impresa sociale (D. lgs.112/2017); infatti si è sdoganata l’esistenza del profitto/utile come elemento strumentale utile al raggiungimento dei fini stessi delle imprese sociali non profit.

Ciò sottolinea che siano garantite le condizioni di equilibrio economico finanziario dell’impresa sociale in logica economico aziendale.

L’alternativa minimalista era quella di anteporre in assoluto il finalismo socio-valoriale ai fondamentali di gestione, sperando «fatalisticamente» che un’entità terza, sempre e comunque, ripianasse il deficit economico-finanziario che spesso si generava.

In altri termini si è assunto il concetto della massimizzazione relativa e funzionale del profitto sempre nel rispetto di un equilibrio economico-finanziario a valere nel tempo e, nel caso del riconoscimento dell’impresa sociale (D. lgs.112/17), la possibilità di remunerare il capitale investito seppur con un tetto prestabilito. Per le imprese sociali (in termini economico aziendali) si è riconosciuta l’applicazione delle operazioni di gestione straordinaria e quindi la trasformazione, fusione, scissione, cessione d’azienda e devoluzione del patrimonio.

L’impresa sociale ha come presupposto il concetto operativo, gestionale ed economico dell’azienda che integra asset di tipo non profit e di tipo for profit.

Non è un paradosso né un ossimoro, ma la convergenza nell’unitarietà concettuale di azienda (strumento operativo di qualsiasi organizzazione e di qualsiasi «istituto socio economico») che è il «minimo comun denominatore» indispensabile per raggiungere gli obiettivi (economici e meta economici) della «mission» di «valori e valore» che ogni comunità dinamica e operante si pone. Infatti, l’azienda è l’attività che, in via continuativa e perdurante, sottende il «dover essere» efficiente, efficace, in autonomia finanziaria, in economicità gestionale di ogni struttura che declina l’imprenditorialità. Dicesi impresa sociale rispetto a una tradizione economico aziendale che ha preconizzato l’integrazione fra gli aspetti economici e sociali e rispetto alla normativa di riferimento sopracitata. Il termine impresa sociale è riferimento concettuale che afferma che l’impresa è «sineddoche» dell’impresa sociale e quindi tutte le imprese dovrebbero essere sociali.

Inoltre, non è una sfumatura la denominazione «non profit» anziché «no profit».

Infatti «non profit» deriva dall’inglese not-for-profit che non esclude il profitto gestionale che dovrebbe essere reinvestito nell’impresa sociale e non può essere redistribuito ai conferenti capitale o lavoro. Se noi accogliamo la dizione «no profit» neghiamo la possibilità di fare profitto e quindi condanniamo l’impresa sociale all’immobilismo e al non dinamismo imprenditoriale con l’inevitabile prospettiva del fallimento gestionale.

La raccolta di fondi per organizzazioni non a scopo di lucro deve essere ripensata come una funzione che si articola in servizi di raccolta di risorse ed è parte integrante dell’approccio di marketing la cui efficacia proporzionale all’attivazione di strumenti di supporto ed all’investimento di risorse mirate a segmenti potenziali di donatori.

In quest’ottica si offre il riferimento dottrinale di Philip Kotler dell’allargamento del concetto di marketing delle imprese sociali in quello di “Megamarketing”:

  • Product,
  • Price,
  • Place,
  • Promotion,
  • Pubbliche Relazioni,
  • Gestione del Potere istituzionale.

WUSF 3 Fiorentini

(La seconda parte con la relazione tra impresa sociale, marketing e fundraising verrà pubblicata in un post dedicato il 30 agosto 2018).

[1]– Longo F.-Dalle evidenze sulle dinamiche (locali e globali) quali prospettive per il nostro sistema di welfare? -slides- Cergas università Bocconi- Bologna, 21 Marzo 2014, e sulla Gestione dell’Assistenza Sanitaria e Social.

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Fiorentini_Giorgio-250x300Guest post. Txs to Giorgio Fiorentini, Bocconi. Professore di Management delle Imprese Sociali all’Università Bocconi. Sempre in Bocconi è Responsabile dell’area Imprese Sociali e Aziende Non Profit del Centro di ricerche sulla gestione dei servizi sanitari e sociali (CERGAS); membro del comitato Community and Social engagement; coordinatore progetto ”Dai un senso al profitto”; fondatore e direttore scientifico del Master Universitario in Management delle IMPRESE SOCIALI –SdaBocconi. Ultime pubblicazioni: La dote e la Rete, una policy e un modello per le non autosufficienze, Fondazione Easy Care, RE (2016); con G.Sapelli, G.Vittadini, Imprenditore: Risorsa o problema, BUR (2014); con V.Saturni, AVIS in the Italian transfusion System, FrancoAngeli (2013); con F. Calò, Impresa sociale e Innovazione Sociale, Franco Angeli (2013).

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