Il 10, 17 e 24 febbraio torna l’ambitissimo corso sul Bilancio Sociale curato da Christian Elevati, amministratore di Mapping Change oltre che formatore della Fundraising Academy. La collaborazione tra me e Christian risale ormai al 2015, un sodalizio che si rafforza anno dopo anno. Nell’attesa di incontrarci in aula, un aperitivo di cosa ci aspetta tra i banchi.

Buona lettura.


Scegliere che cosa raccontare dell’anno precedente nel Bilancio Sociale non è per nulla facile. Provo a elencare alcune criticità con le quali mi sono trovato più spesso ad avere a che fare:

  • “devo raccontare tutto”: vuoi per paura di scontentare un ufficio, un dipartimento, una persona, uno stakeholder… vuoi perché non si ragiona per priorità (è una competenza per nulla scontata), ci si mette nella difficile posizione di non scegliere; le conseguenze sono un Bilancio Sociale che diventa il catalogo infinito di tutto ciò che si è fatto nel 2022, prolisso e illeggibile (di fatto mai letto poi da nessuno…), senza alcuna possibilità di cogliere il vero valore aggiunto dell’organizzazione;
  • “faccio cose, vedo gente”: collegato al punto precedente, il Bilancio Sociale racconta le cose fatte e quante persone sono state coinvolte (attività e relativi output); va bene, ma così racconta solo un pezzo della storia e nemmeno quella più importante, e cioè quanto tutte le attività e le risorse che abbiamo messo in campo hanno cambiato le vite delle persone per cui esistiamo; in altre parole, più tecniche, non possiamo raccontare l’impatto se non abbiamo una strategia chiara pluriennale articolata in outcome (che cercheremo di promuovere appunto con attività e risorse) e se non ci mettiamo in condizione di valutare in modo rigoroso anche il livello di outcome (che poi racconteremo nel Bilancio Sociale);
  • “guarda quanto siamo bravi!”: giusto valorizzare i successi, ce lo meritiamo; ci serve anche per rimotivarci internamente, dopo le fatiche di un anno intero; tuttavia: voi vi fidereste di una persona che vi dice sempre che va tutto bene? Io no, per cui mi aspetto lo stesso da un’organizzazione: mi aspetto sincerità e trasparenza, solo su queste basi si crea un rapporto di fiducia; inoltre, sui risultati che non abbiamo raggiunto possiamo rinnovare l’impegno per l’anno che viene e chiedere sostegno;
  • “Me, Myself and I”: bene che la nostra organizzazione mostri che cosa è riuscita a realizzare, ma ce l’abbiamo (e ce l’avremmo) fatta da soli? Dove sono tutti i nostri alleati, dai volontari ai donatori, dai partner pubblici a quelli privati? E non si tratta di dare solo dei numeri, meritano spazio, visibilità, parola;
  • “E io dove sono in tutto questo?”: in linea con il punto precedente, è bene ricordare che le organizzazioni sono fatte di persone; sono le persone che generano il valore aggiunto delle organizzazioni; e sono state sempre le loro persone quelle che le hanno tenute in piedi durante la pandemia (a volte con grandi sacrifici e mettendo in campo soluzioni innovative); però nei Bilanci Sociali spesso compaiono solo come numeri (quanti dipendenti, con quali contratti, se maschi o femmine, in quali Paesi ecc.); benissimo, abbiamo rispettato le Linee Guida Ministeriali, ma i numeri non sono volti e storie; qui non si tratta di fare la passerella di tutti i dipendenti, collaboratori e volontari, ma forse si può fare qualcosa di più che renderli invisibili.

(Foto d’apertura, credits: © <a href=’https://it.123rf.com/profile_sergey18m’>sergey18m</a>, <a href=’https://www.123rf.com/free-images/’>123RF Free Images</a>)

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