Quando, all’interno di ogni orinatoio dell’aeroporto di Amsterdam è stato messo un adesivo con l’immagine di una mosca, la quantità di pipì finita sul pavimento, sotto le latrine, è diminuita dell’80%. Evidentemente, anche nei comportamenti più casuali, gli uomini sono motivati dalla possibilità di prendere di mira un bersaglio. È altrettanto evidente che è possibile spingerli ad un comportamento positivo in modo lieve, senza introdurre obblighi o minacciare sanzioni.
Quello delle mosche di Amsterdam è l’esempio preferito da Richard Thaler, docente dell’Università di Chicago, fondatore dell’economia comportamentale, che con il giurista di Harvard Cass Sunstein, è autore di Nudge (pungolo), un bestseller negli Stati Uniti ed edito in Italia da La Feltrinelli (La spinta gentile, ndr).
Non conoscevo questo libro. A stupirmi e spingermi “gentilmente” all’acquisto, un appassionante Gianvito Martino, direttore divisione di Neuroscienze dell’Istituto Scientifico Universitario San Raffaele di Milano, all’incontro organizzato da Assif sull’Emotionraising dello scorso 16 luglio.
Eh sì perché ogni giorno prendiamo decisioni sui temi più diversi: come vestirsi, cosa mangiare, come muoversi. Tuttavia, molte sono razionalmente errate o si dimostrano tali: un investimento sbagliato o 100 m percorsi in auto piuttosto che a piedi. Siamo esseri umani, non calcolatori perfettamente razionali. A condizionarci, le troppe informazioni contrastanti di cui siamo destinatari inconsapevoli oltre all’inerzia e dalla limitata forza di volontà che pare contraddistinguerci. È per questo che abbiamo bisogno di un “pungolo”, di una spinta gentile che ci indirizzi verso la scelta giusta. L’idea di Thaler e Sunstein è geniale nella sua semplicità:
per introdurre pratiche di buona cittadinanza, per aiutare le persone a scegliere il meglio per sé e per la società, occorre imparare a usare a fin di bene l’irrazionalità umana. Non con prescrizioni o divieti – ci dicono gli autori – ma con la “spinta gentile” di piccoli incentivi sufficienti a cambiare i comportamenti casuali della gente; lasciando, però, ognuno libero di fare le sue scelte. Piccoli sforzi che possono avere conseguenze importanti, anche sui piani economico e sociale.
I campi d’applicazione sono potenzialmente illimitati: non c’è settore della vita pubblica o privata in cui non si possa trarre giovamento da quello che gli autori definiscono “paternalismo libertario”.
Pensiamo a questo concetto calato nel nostro contesto professionale: un fundraiser ha la straordinaria possibilità di indurre a un comportamento che ha delle valenze più che positive, appunto la buona causa. Per far ciò, può sollecitare il donatore a compiere un’azione attraverso canali e strumenti diversi. Rispetto a questi, un ruolo fondamentale ce l’hanno le immagini che sappiamo bene come abbiano il potere di condizionare i nostri pensieri. Così, il nostro compito è di agire in modo responsabile nei confronti tanto dei nostri donatori quanto dei nostri assistiti.
Ai miei pensieri fa eco Francesco Ambrogetti, fundraiser advisor di Unaids e autore di Emotionraising. Le neuroscienze applicate al Fundraising, edito da Maggioli Editore:
La gente dona e questo è un gesto emotivo. Le immagini sono la cosa che il nostro cervello processa più velocemente. (Al pari, ndr) le storie sono fatte per attivare i meccanismi emotivi per attivare il dona. Vanno raccontate. – E conclude – Ci vuole coraggio per attivare le emozioni e le donazioni.
Di Vincenzo Russo, professore associato di Psicologia dei Consumi e direttore del Behavior and Brain Lab IULM, un pensiero che racchiude il senso dell’agire umano:
Molte volte decidiamo sulla base dell’intuizione. Siamo macchine emotive che pensano e non macchine pensanti che si emozionano.
Nel processo di ricerca di come i fundraiser possano usare le proprietà seduttive delle immagini per raccogliere fondi, conclude Rossella Sobrero, docente di Comunicazione Pubblica e Sociale all’Università degli Studi di Milano, relatrice all’incontro e amica:
Ci vuole rispetto per gli altri, senza manipolazione ma per usare il potere che come fundraiser ho in quel momento, perché non tutti i fini giustificano i mezzi. (…) Occorre usare la tecnologia e metterla al nostro servizio al meglio. Purtroppo – conclude la Sobrero – etica e nonprofit non è (sempre, ndr) un binomio scontato.
Credo che il lavoro grande del fundraiser sia quello della costruzione del dopo ed è questa la difficoltà maggiore. Ma anche la sfida più grande.
Io vado avanti per la mia strada, affiancando l’etica e il buon senso alla tecnica. Mi fermo laddove come persona penso che no, non si fa e non va bene. Perché prima, sempre e comunque, viene la persona nella sua integrità e dignità. Quindi, mi verrebbe da dire, agiamo sì ma senza forzare e con qualche sforzo in più da parte nostra.
Concludo dicendo che per me emozione fa rima con etica e passione. Senza dubbio. E per te? Emozione è…
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