[vc_row][vc_column][vc_column_text]tOTO-A-MILANO-600Bella, bella, bella la lezione sul fundraising a cui ho partecipato giovedì scorso a Milano, nella sede dell’Istituto dei Salesiani al nr 9 di Via Copernico. Mi sono divertita molto. Valerio Melandri ha intrattenuto i presenti con il suo fare, noto e avvincente a cui devi assistere, almeno una volta, se fai raccolta fondi.

C’è un aspetto in particolare che mi ha colpito e di cui non conoscevo la portata, ed è la questione dell’analfabetismo funzionale. Solo pochi giorni fa, trattavo un argomento parallelo richiamando Umberto Eco a proposito della tutela del propria reputazione (ricordi? No? Rileggi il post),

Il tema che mi ha incuriosito non poco e l’ho approfondito.

Mimmo Càndito sul suo Il Villaggio (quasi) Globale, blog su La Stampa, scrive:

(…) tra la gente che abbiamo attorno a noi, al caffè, negli uffici, nella metropolitana, nel bar, nel negozio sotto casa, più di 3 di loro su 4 sono analfabeti (…). Sono incapaci di ricostruire ciò che hanno appena ascoltato, o letto, o guardato in tv e sul computer. (…) Non sono certamente analfabeti “strumentali”, bene o male sanno leggere anch’essi e – più o meno – sanno tuttora far di conto; ma essi sono analfabeti “funzionali”, si trovano cioè in un’area che sta al di sotto del livello minimo di comprensione nella lettura o nell’ascolto di un testo di media difficoltà. Hanno perduto la funzione del comprendere, e spesso (…) non se ne rendono nemmeno conto.

Il titolo “Il 70 per cento degli italiani è analfabeta (legge, guarda, ascolta, ma non capisce)”, non lascia dubbi a tal proposito (fonte).

Cosa significa tutto questo in termini di fundraising e, in modo particolare, di comunicazione finalizzata alla raccolta fondi? Pensare e pianificare le proprie strategie tenendo ben presente questo aspetto, impatta non poco nel lavoro del fundraiser, sia in termini di efficacia che di efficienza.

Per fare in modo che questa funzioni – racconta Melandri – occorre venga scritta come se a leggerla fosse un bambino di 11 anni: scrivi, dunque, come parli!

Facendo ricorso ai processi di significazione, è necessario portare dentro il donatore nei processi di produzione del messaggio, rendendolo attore attivo, piuttosto che destinatario di un atto di comunicazione preconfezionato.

Richiamo l’ipotetica linea del dono, teorizzata e pubblicata in Professione Fundraiser (pag. 38, Franco Angeli, ed. 2015):

“Se vogliamo aiutarci con un’immagine, si tratta di collocare il donatore su un’ipotetica “linea del dono”, alla fine di un processo o al suo inizio.

IPOTETICA LINEA DEL DONO

linea del dono Elena Zanella

  • se dono significa atto finale di un impegno solidale e il donatore è posizionato al suo estremo, l’atto di donazione basta a se stesso e il processo si conclude una volta avvenuto;
  • se dono significa corresponsabilizzazione sulla quale innescare il processo di partecipazione e il donatore si pone al fianco dell’organizzazione nel ruolo di partner, siamo di fronte a quello che viene definito “processo di fidelizzazione”. Chiedere e raccogliere diventa più semplice.”

Non ti pare?

Con l’occasione del tour, ho comprato il nuovo volume “Fundraising”. E’ stata una piacevole sorpresa trovare il mio libro in bibliografia (a proposito, ti ricordo che lo presenterò in occasione del prossimo Festival del Fundraising il 19 maggio, ore 10) ed essere tra i collaboratori che definisce “inconsapevoli”. Molto contenta d’esserci (il cap. 1, se vuoi, lo scarichi liberamente qui). Grazie, dunque, er Professor!

Ti lascio con l’indimenticabile spezzone di Totò, Peppino e la… malafemmina a Milano e con qualche frame della serata. Buona visione :)[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

https://youtu.be/6d_2HzW6rMY

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