Cosa significa essere fundraiser oggi?
E’ questa la domanda immediatamente successiva a cui ultimamente rispondo con maggiore frequenza. E segue, giocoforza, la reale comprensione – in primo luogo – di qual è il lavoro che svolgo. A questo secondo quesito, non è detto che ci si arrivi. Ma se ci sono tutti i presupposti me ne rallegro e allora sì che la cosa si fa interessante e può portare lontano. Si complica naturalmente. E altrettanto naturalmente mi affascina.
Sappiamo bene, noi fundraiser, come sia difficile fare raccolta fondi. Viviamo un sistema complesso in cui la complessità è il fulcro attorno al quale ruota tutto: relazioni, economia, crisi, cultura. In tutta questa complessità, a farne le spese è la professione. Si taglia per ingenuità o si rimanda per timore. Fatto sta che qualunque sia la strada, l’impressione è quella di vivere, in modo costante, in uno stato d’ansia… da prestazione.
Ci sono alcuni aspetti che è opportuno tenere presenti per non cadere nell’errore, e nella visione distorta purtroppo, che il fundraiser porti magicamente ciò di cui l’organizzazione nonprofit ha bisogno e, se così non è, il problema sia il (e del) fundraiser. Punto.
Sappiamo bene che così non è. O, comunque, che non è sempre vero.
Vado oltre aggiungendo un aggettivo e ripropongo la domanda: cosa significa essere, quindi, un buon fundaiser oggi? Ho messo in ordine alcune idee cercando di dare una prima risposta. Sono solo alcune interpretazioni nate dall’esperienza ma che attendono e gradiscono tue eventuali integrazioni.
Essere un buon fundraiser oggi significa…
1. DARSI TEMPO. Fare fundraising non significa solo investimento economico come più volte abbiamo scritto. Fare fundraising significa anche investire nel tempo. Ritorni immediati sono una rarità. Sono auspicati ma sono una delle componenti di un processo ben più articolato. Ci vogliono tempo, costanza e intelligenza d’impresa per rientrare negli investimenti. Il resto è fortuna.
2. RAGIONARE IN TERMINI DI VALORE AGGIUNTO. Pensare al fundraising come a un investimento e non a una voce di costo aiuta. E rende! Un fundraiser lo sa ed è un concetto che deve passare. Ci vorrà tempo ma bisogna insistere. Se si taglia sull’investimento perché non si vedono subito i risultati si fa doppio danno: si perde tempo e si perdono fondi. Bastano come argomentazioni?
3. OGNI STRATEGIA HA I SUOI TEMPI E DIVERSA EFFICACIA. Una DEM è diversa da un face to face. Lo sappiamo bene. Occorre tenerlo presente e quantificarne verosimilmente i ritorni. Inutili e controproducenti le false illusioni.
4. DIVERSE FACCE DI UN’UNICA MEDAGLIA. Fare fundraising significa mettere in campo tutta una serie di competenze. Non è solo tecnica. Si tratta in un corpus professionale molto articolato. E’ Know How. E’ Expertise. E’ studio. E’ capacità relazionale. E’ perseveranza. E’ dote. Ognuno è fundraiser a modo proprio ma ciascuno di noi sa bene che non basta leggere un libro per essere un fundraiser. C’è molto di più. C’è la voglia di mettersi in gioco. C’è savoir faire. C’è abilità. C’è personalità!
5. LA DIFFERENZA LA FA LA SQUADRA. Da soli si può sì ma fino a un certo punto. I battitori liberi vanno bene ma nel lungo periodo può venire meno lo slancio e c’è bisogno del supporto di tutti per evitare la deriva. A beneficio della causa. E’ importante che l’intera organizzazione lavori in sinergia per il raggiungimento degli obiettivi comuni. Ognuno faccia pure il proprio ma con la consapevolezza di essere al servizio del bene comune. Una dose di umiltà aiuta sempre.
6. CHIAREZZA E COERENZA. Messaggi chiari e azioni coerenti. Il tutto in linea con la mission e nel rispetto dei propri pubblici. Solo in questo modo è possibile avere ritorni costanti e crescenti. Anche in termini di raccolta fondi.
7. VOLATILITA’ DEL DONATORE. Il donatore è sempre più maturo. Da ciò deriva maggiore attenzione e necessità di conoscere di più e meglio l’organizzazione e le sue cause. Trasparenza, rendicontazione, accountability. La responsabilità sociale comincia da noi. La migrazione del dono verso altre destinazioni non è più e non è poi così remota.
8. FEDELTA’ AL PORTAFOGLIO. Mantenere i donatori attuali è più importante che intercettarne di nuovi. Ed è meno faticoso. Bisogna spendere del tempo a coltivare le relazioni esistenti che possono trasformarsi in opportunità dai risvolti inattesi.
9. L’IMPORTANZA DI COMUNICARE.
- Informazioni chiare.
- Contenuti precisi.
- Strumenti adeguati.
- Canali efficaci.
Quattro aspetti e un unico trait d’union: comunicare in modo professionale. Se si fa economia (anche in modo figurato intendo) sulla comunicazione e sui suoi aspetti, con ogni probabilità si avranno ripercussioni in termini di raccolta entro stretto giro. Meglio comunicare in modo via via crescente e/o diversificato e non il contrario. Questo concetto non passa? Prova a non comunicare per un mese intero…
10. FUNDRAISING, SISTEMA DI COSTITUENTI AD ALTA COMPLESSITA’. Un fundraiser è un bene prezioso. Se vale e va via, porta con sé tutta una serie di relazioni e competenze difficili da rimpiazzare. E’ destabilizzante perché vengono a mancare riferimenti certi, in primis per il donatore. Quindi, se è vero che tutti sono utili e nessuno è indispensabile, è anche vero che ognuno è unico con uniche competenze. Pensiamoci.
Concludo, riproponendoti il paradigma delle 10 C del fundraiser professionista che ho elaborato un anno fa di questi tempi. Nel lavorare alla costruzione della propria professionalità, il fundraiser che vuole crescere e far crescere la propria organizzazione non deve mai perdere di vista queste caratteristiche e a queste deve tendere:
- Consistenza: capacità di essere concreti, realistici, misurabili. Dare robustezza alle proposte così come al modo di porsi.
- Costanza: capacità di perseverare, con diligenza, verso gli obiettivi proposti.
- Chiarezza: d’idee, nell’esposizione verbale e nella stesura scritta dei contenuti.
- Coraggio: intraprendenza e un minimo di propensione al rischio con assunzione delle responsabilità.
- Competenza: conoscenza della materia oggetto di studio e lavoro oltre alla predisposizione alla formazione continua.
- Capacità di Coinvolgere: possibile solo se in presenza di assertività e pathos. Doti indispensabili per raggiungere gli obiettivi proposti.
- Creatività: capacità di individuare strade e soluzioni inaspettate.
- Consapevolezza: del proprio ruolo e delle proprie responsabilità in seno all’ONP.
- Curiosità: caratteristica che non deve mai abbandonare il fundraiser. Se finisce la curiosità e la voglia di sperimentare, finisce il compito del professionista per l’ONP.
- Credibilità: la sommatoria delle precedenti. La costruisci giorno per giorno. E’ LA FIDUCIA. IL BENE PREZIOSO. La leva che rende possibile il raggiungimento degli obiettivi e di spessore la tua reputazione di professionista.
Come in un cubo di Rubik, il fundraising è un gioco di incastri. Tuttavia, senza metodo non c’è soluzione. E questo fa la differenza.
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Sul cosa significhi essere fundraiser oggi si parlerà il prossimo venerdì 5 aprile a The Hub Milano, durante il First Friday organizzato da Francesca Mineo, direttore di IFC Italy.
Vuoi saperne di più? Ti aspetto!
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