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Secondo l’annuale ricerca di GFK Eurisko sull’impegno al dono degli italiani, su un campione di 12mila intervistati, solo il 19% si dice donatore, pari a 9,75 milioni di italiani (scarica qui la sintesi del 2017 I_donatori_in_Italia_-_2017_-_DEF GFK Eurisko).

8 intervistati su 10 non donano e probabilmente, in condizioni normali, continueranno a non donare e basta.

Dobbiamo rassegnarci: ci sono persone che non acquisiremo mai come donatrici, nemmeno se rappresentassimo la migliore causa del mondo.

Altre, invece, doneranno ma rimarranno comunque donatori occasionali o sporadici, stagnanti alla base della piramide, senza quel passo che ci permetterebbe di considerarli “appetibili” in termini di crescita relazionale.

libro 4Phil Buchanan, presidente del CEP,  The Center for Effective Philanthropy, nel suo libro Giving Done Right illustra le 10 differenze tra il donatore che ci crede e il non donatore o comunque donatore occasionale, invitandoci a considerare il fatto che il problema potremmo non essere noi in quanto causa, bensì l’approccio prevenuto di quest’ultimo al gesto in sé o al pregiudizio nei confronti del settore nonprofit nel suo complesso.

Questo non ci esenta dal vigilare e attenzionare l’intero database ma, perlomeno, ci rassicura un po’ e modera l’ansia da prestazione con cui ogni fundraiser si trova a fare i conti.

Ho tradotto liberamente lo schema che trovi a pagina 194, se vorrai, che trovo davvero molto interessante. Leggilo come non donatore/donatore occasionale (per comodità, semplicemente non donatore) vs donatore:

  1. il non donatore pensa che la maggior parte delle Onp sia scarsamente gestita e il suo personale sovrapagato vs il donatore sa che gestire un ente nonprofit è una sfida unica e richiede talento;
  2. il non donatore crede nella necessità di dedicarsi a un obiettivo unico vs il donatore riconosce che unirsi agli altri nel perseguimento di obiettivi condivisi è la miglior ricetta per il successo;
  3. il non donatore pensa alla strategia come contesto competitivo vs il donatore pensa che le strategie solidali dovrebbero essere ampiamente condivise e basate sul feedback continuo e sull’apprendimento;
  4. il non donatore pensa che si possano trovare soluzioni rapide e innovative ai problemi sociali vs il donatore riconosce che vi siano molteplici cause ai problemi, che vi possano volere decenni per trovare soluzioni e che queste soluzioni richiedano l’intervento di una pluralità di attori;
  5. il non donatore pensa che i problemi sociali siano esclusa degli enti nonprofit o possano essere risolti dal mercato delle imprese vs il donatore sa che per risolvere i problemi sociali è importante che ciascuno faccia la propria parte e che il nonprofit, in questo contesto, svolga un ruolo cruciale;
  6. il non donatore considera i beneficiari delle azioni degli enti come destinatari passivi e questo li porta a voler conoscere come viene speso ogni centesimo vs il donatore considera i beneficiari essenziali nel raggiungimento di obiettivi condivisi e per questo si propone di fornire tutto l’aiuto necessario, senza restrizioni perché si fida;
  7. il non donatore pesa e misura tutto vs il donatore comprende che il gesto del dare è straordinariamente complesso e va oltre le misure;
  8. il non donatore pensa che la filantropia così come la conosciamo ora vada ripensata vs il donatore riconoscere che un buon gesto di solidarietà può fare molto e ha fatto sempre molto;
  9. il non donatore cerca un tornaconto personale vs il donatore si concentra sui risultati;
  10. il non donatore ha una sua idea di ciò che è meglio per i beneficiari del dono, a prescindere dalle opinioni di questi ultimi, vs il donatore ascolta e impara da coloro che sono più direttamente interessati al problema e dalle organizzazioni nonprofit che lavorano a lor stretto contatto.

La soluzione allo stallo?

Concentriamoci sui donatori attivi, che hanno mostrato interesse vero e che spesso trascuriamo perché presumiamo – erroneamente – che il più sia fatto. Occorre lavorare sulla qualità prima ancora che sulla quantità. Così facendo, ci accorgeremo di fare la metà della fatica ottenendo il doppio dei risultati, oltre a ridurre di un pezzo gli investimenti e il tempo dedicato.

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(L’hai letta? Leggi ora la mia intervista su Orwell.live).

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