Trasparenza sulla pubblicità e tutela dei minori sono i princìpi cardine che emergono dalle nuove linee guida dell’Agcom approvate all’unanimità in queste ore (le trovi qui).

E così, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni torna a esprimersi dopo il caso del “pandoro-gate” di cui tanto si parla da un mese a questa parte. Ad onor del vero, l’Autority, fa sapere il Sole24Ore, ci stava già lavorando dallo scorso luglio, e da oggi, i cosiddetti influencer sono equiparati a fornitori di servizi media audiovisivi e, come tali, sottoposti alla disciplina del Testo Unico dei servizi media audiovisivi (Tusma). Una questione che riguarda solo in Italia un universo di 350mila persone con un giro d’affari finale ben sopra i 300 milioni di euro (cit.).

Nuove linee guida e un codice di condotta in arrivo.

Le linee guida si rivolgono ai soli influencer operanti in Italia che raggiungono almeno un milione di follower sulle varie piattaforme su cui operano e hanno superato su almeno una piattaforma o social media un valore di engagement rate medio pari o superiore al 2%, il che significa aver generato reazioni da parte degli utenti, come commenti o mi piace, in almeno il 2% dei contenuti pubblicati.

Influencer e creator sono, da oggi, tenuti a seguire norme e direttive, tra cui l’obbligo di garantire trasparenza nelle attività pubblicitarie – con sanzioni che vanno da 10 a 250mila euro in caso di violazione -, il rispetto degli obblighi per la tutela dei minori, con multe che variano da 30mila a 600mila euro per coloro che trasgrediscono tali norme, e chiarezza nelle pratiche aziendali, agli impegni per promuovere il pluralismo e prevenire la discriminazione.

Al via anche un tavolo di lavoro costituito da Autorità, influencer e agenzie intemediarie tra questi ultimi e le aziende, finalizzato alla stesura di un codice di condotta (un elenco di buone prassi) al quale i professionisti dovranno attenersi.

È evidente che l’aspetto legato alla “beneficenza” sia stato l’elemento scatenante di qualcosa che aveva raggiunto ormai limiti che meritavano attenzione. Giusto, a mio modo di vedere, normare.

Ma non è solo questo.

I fundraiser devono essere invitati a partecipare tavolo di lavoro.

Ritengo che il Caso, perché di caso con la C maiuscola occorre parlare, debba diventare l’occasione per educare il Terzo settore, ma non solo, alla giusta raccolta fondi. Al comprendere, cioè, quali sono le questioni in gioco: cosa si può fare – e come farlo – e cosa no; cosa è lecito e cosa no.

Questo fatto deve servire a far comprendere che ci sono delle regole da rispettare e dei confini oltre i quali non si può andare. E non si tratta solo di confini etici e morali, che hanno naturalmente un loro peso specifico su cui non si può soprassedere, ma che si tratta anche, più banalmente, di regole di marketing e di processi aziendali che non possono essere trascurati solo perché alla base c’è la buona causa e allora va tutto bene.

Perché no, non va tutto bene.

Ogni idea, specie legata a un rapporto con un’azienda che non preveda la sola donazione liberale fine a sé stessa, va analizzata, sviluppata e seguita accuratamente perché può produrre azioni che possono rientrare facilmente nell’ambito delle tecniche di corporate fundraising di tipo commerciale, ovvero legate a interessi di business e quando c’è business c’è profitto, punto. CRM, o cause related marketing, e sponsorizzazioni ne sono un esempio. La sequenza è tanto logica, quanto banale.

Nulla di male in questo, basta saperlo e comportarsi poi di conseguenza affinché non arrivino brutte sorprese (per tutti).

Per parlarne e agire nel modo più opportuno occorrono competenze adeguate. Motivo per cui il Terzo settore, e noi fundraiser in modo particolare, non dobbiamo essere lasciati fuori dal tavolo di discussione, perché ci sarà sempre un influencer, un testimonial, una persona di buona volontà che deciderà di agire a fin di bene e, nel farlo, a trovarsi a sbagliare, farsi e fare male. Facciamo che non capiti più o proviamoci almeno.

Qualora l’avessi perso, ti invito alla lettura di Solidarietà comunicata o solidarietà silenziosa? Tre spunti di riflessione sul dono, il mio post precedente sul tema.

 

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