Concludiamo il percorso di analisi sulla relazione tra board e attività di fundraising, scandagliando un secondo punto davvero cruciale: un consigliere è al tempo stesso donatore della propria ONP? Ecco le riflessioni di Simona Biancu. A lei il mio grazie per l’attenzione con cui ha trattato il tema e a te, caro amico, la preghiera di raccontarci la tua storia qui in calce. Buona lettura.
————-
Nello scorso post abbiamo toccato il tema del CD, o in generale dell’organo di vertice e guida di un’organizzazione, e del suo rapporto con l’attività di fundraising. Abbiamo visto quanta importanza abbia l’approccio, anche “culturale”, del Consiglio per l’impostazione e la riuscita dell’attività di raccolta fondi. E quanto possa essere importante e fruttifera anche la formazione del Consiglio. Abbiamo concluso con un suggerimento dedicato a una delle due casistiche più frequenti: il rifiuto del Consiglio di occuparsi di raccolta fondi.
Ora andiamo oltre e tocchiamo la seconda eventualità, frequente nell’esperienza di molti fundraiser o consulenti: il Consiglio Direttivo è coinvolto nella buona causa, a cui dedica il proprio tempo anche in maniera consistente, ma nessuno (o gran parte) dei membri è un donatore dell’organizzazione.
Questo è un aspetto con cui mi confronto nella quasi totalità dei casi, con alcune eccezioni. Anche in questo caso inizialmente ho guardato la cosa con un certo stupore.
Durante uno dei primi corsi che ho tenuto sul Fundraising, ho fatto la domanda diretta ai partecipanti – quasi tutti presidenti o componenti di consigli direttivi di organizzazioni medio-piccole. La risposta è stata che
nessuno di loro donava alla propria organizzazione, visto che la forma di donazione era già il proprio tempo, e che non sembrava loro corretto neppure porre la questione perché sarebbe stato “chiedere troppo”.
Mi capita spesso di confrontarmi con fundraiser o consulenti stranieri, dai quali ricevo racconti di come in altri Paesi – non necessariamente migliori dell’Italia, semplicemente con una tradizione culturale differente dal punto di vista della raccolta fondi – sia considerato normale essere un grande donatore “in quanto” componente del Consiglio Direttivo di una organizzazione, in una sorta di rapporto inverso tra uno e l’altro fattore.
Il fatto, cioè, di essere un componente del Consiglio Direttivo comporta il dovere morale di donare, come segno di supporto, di adesione, di conferma del credo rispetto all’organizzazione. E anche per stimolare comportamenti emulativi.
Occuparsi di Fundraising vuol dire, nella definizione di Hank Rosso che trovo una delle cose più belle scritte in materia, “insegnare agli altri la gioia di donare”. Ma se è questo il punto “controverso” all’interno della nostra cultura che storicamente si è evoluta secondo altri canoni (parzialmente diversi), allora è evidente che donare, o chiedere a qualcuno della propria cerchia di conoscenze, di farlo, diventa uno stress, un imbarazzo, una cosa poco appropriata.
Tutte le volte in cui, a fronte dell’obiezione di cui sopra, ho risposto argomentando che non vedevo come si potesse chiedere fondi a qualcuno senza essere i primi a donare per la “propria” causa (in quanto membro di vertice dell’organizzazione che tal buona causa promuove), e che questo avrebbe destato perlomeno qualche perplessità da parte di chi si fosse sentito fare la richiesta, mi è stato risposto che effettivamente era un aspetto da tenere in considerazione e sul quale si sarebbe dovuto fare qualche approfondimento (apertura al confronto che di solito colgo la balzo per proporre una discussione condivisa su tali questioni).
Non sempre ciò ha effetti nel senso di indurre a una donazione i componenti del Consiglio Direttivo, ma quantomeno porta a far emergere la questione e produce approfondimenti, valutazione diverse, considerazioni di altro tipo.
Il mio suggerimento è quello di creare – ed è questo un impegno che cerco di assolvere sempre – un “ambiente” confortevole per i membri del Consiglio Direttivo. Nel senso che è fondamentale che comprendano a fondo di cosa si parla quando si parla di fundraising. E’ importante fare in modo che vivano il lavoro di costruzione della relazione, di coltivazione, di condivisione di valori tra persone, dando a questo
tipo di rapporti la connotazione che darebbero loro se non avessero la preoccupazione costante ed incombente di dover chiedere dei soldi.
In questo tipo di situazione, mi capita spesso che mi venga fatto notare, a volte anche con un certo stupore, di quanto la comunicazione che costruisco insieme all’organizzazione rispetto, ad esempio, ad un evento, sia centrata sull’organizzazione, sui suoi progetti, sui desiderata del potenziale donatore, sull’ascolto. E questo – la relazione basata sulla condivisione – li tranquillizza, li mette in condizioni di rendersi conto che non è una relazione con il trabocchetto finale (la richiesta di fondi) per il loro conoscente, ma un rapporto trasparente,
chiaro, basato sull’adesione e la condivisione di un progetto di interesse comune. Che porterà, certo, a un sostegno anche economico, ma non sarà mai solo quello. E che mostrare al potenziale donatore gli effetti, gli impatti dei progetti che l’organizzazione porta avanti, è il modo migliore per rendere evidenti i fabbisogni, le potenzialità, la necessità di coinvolgimento.
L’obiettivo, come nel caso del donatore, è di far vivere un’esperienza anche a chi si occupa/dovrebbe occuparsi del Fundraising. Che non è una questione di competenza del fundraiser interno, ma di tutta l’organizzazione e, a maggior ragione, del suo Consiglio Direttivo. Che non è un dovere che generi ansia o da ignorare, ma una delle basi per rafforzare l’organizzazione e le sue relazioni, per creare movimento intorno ai progetti. Che – e questo dovrebbe essere un punto da tenere sempre presente per chi si occupa di fundraising in modo professionale – il coinvolgimento del Consiglio Direttivo non dovrebbe avvenire solo quando ci sono emergenze legate a fabbisogni urgenti: in questo modo tutti i dubbi, le perplessità, le ansie viste sopra emergono con tutta la loro evidenza. Il Consiglio Direttivo dovrebbe essere coinvolto
nell’esplicare tutta la propria capacità e forza di relazione, nella creazione di relazioni di lungo periodo, di quel dialogo con i potenziali donatori che solo riesce a dare stabilità e coerenza alla strategia di Fundraising per qualunque organizzazione.
———————-
GUEST POST. Thank to:
Simona Biancu, per sapere di più su di lei, la trovi qui: Progetti per il Fund Raising e la Responsabilità Sociale d’Impresa. Seguila su Twitter: @simona_biancu
——————
Articoli correlati: