A cosa dare la priorità? Alle cose importanti o alle cose urgenti? Importante o urgente? È questo l’eterno dilemma dell’imprenditore sociale, ma non solo.

Nel non profit, e più in generale nella gestione di qualsiasi impresa sociale e non, la giornata inizia sempre con una lista infinita di cose da fare. E-mail a cui rispondere, riunioni da organizzare, scadenze da rispettare. Poi arriva l’imprevisto, la telefonata che cambia le priorità, la richiesta che non si può rimandare.

E così, giorno dopo giorno, si rischia di rimanere intrappolati nella ruota del criceto: un ciclo incessante di urgenze che consumano tempo ed energie, senza lasciare spazio alla visione strategica di lungo periodo.

Ma allora, cosa viene prima? L’importante o l’urgente? È come chiedersi se sia nato prima l’uovo o la gallina. Eppure, a ben vedere, la risposta esiste ed è chiara: sono le cose importanti, non quelle urgenti, a determinare la solidità e il futuro di un’organizzazione.

L’illusione dell’urgenza e il potere delle cose importanti

L’urgenza ha una forza magnetica: attira la nostra attenzione, richiede una risposta immediata, genera quella scarica di adrenalina che ci fa sentire produttivi. Ma è proprio questo il punto: rispondere alle urgenze ci dà la sensazione di aver fatto qualcosa, di aver risolto un problema. Tuttavia, se ci fermiamo a riflettere, quante di queste attività ci hanno davvero avvicinato al nostro obiettivo?

Lavorare costantemente sull’urgente porta a due risultati: l’esaurimento, facilmente definibile con il termine inglese burnout, e la perdita di direzione. Si arriva a fine giornata stanchi, avendo corso senza sosta, ma senza aver costruito nulla di duraturo. Si diventa reattivi invece che proattivi. E se tutto è urgente, nulla è veramente prioritario.

Le cose importanti, al contrario, spesso non bussano con insistenza alla porta. Non mandano notifiche, non chiamano con tono perentorio. Eppure, sono proprio queste a garantire la sostenibilità. Pensiamo, ad esempio, alla pianificazione strategica, alla costruzione di relazioni solide, allo sviluppo di nuove opportunità di fundraising, alla formazione del team. Nessuna di queste attività è “urgente” nel senso stretto del termine, eppure sono proprio queste che garantiscono il futuro di un’organizzazione. Se non vengono fatte oggi, non ci sarà un domani in cui occuparsi delle urgenze.

Fermarsi per guardare avanti

E allora, ogni tanto, bisognerebbe fermarsi. Non per ignorare le cose urgenti, che devono comunque trovare un posto nella nostra to-do list, ma per creare uno spazio in cui pensare. Uno spazio in cui decidere, con consapevolezza, dove vogliamo essere fra tre giorni, fra cinque giorni, fra dieci giorni. E soprattutto, fra uno o tre anni.

Questo significa ribaltare il paradigma: non più lasciarsi trascinare dalle urgenze, ma fare in modo che siano le cose importanti a guidare le scelte quotidiane. Significa imparare a dire no, delegare, automatizzare. Significa uscire dalla logica del fuoco da spegnere e iniziare a costruire un’organizzazione che sia più resistente, più solida, più orientata allo svolgimento della missione per cercare di raggiungere la propria visione.

Essere per fare

Alla base di tutto c’è una consapevolezza profonda: non siamo solo ciò che facciamo, ma anche ciò che scegliamo di essere. Un’organizzazione non profit, un’impresa sociale, un professionista del terzo settore devono trovare il giusto equilibrio tra il fare e l’essere. Tra l’azione immediata e la visione strategica. Tra la reazione alle urgenze e la costruzione del futuro.

Perché alla fine, non sono le cose urgenti a rendere grande un’organizzazione. Sono le cose importanti. Quelle che permettono di guardare avanti e di non perdersi nel vortice del quotidiano. Quelle che, nel lungo periodo, fanno davvero la differenza.

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One Comment

  1. Emilio Augusto Benini 23 Marzo 2025 at 19:08 - Reply

    Molto interessante che apre la mente a visioni di processi fisiologici distinguendosi da quelli parologici

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