Prima della pausa estiva, arriva il post di Christian Elevati su un tema caldissimo in Riforma: il rapporto tra bilanci e impatto sociale. Christian si occupa del modulo di Teoria del Cambiamento (ToC) all’interno di Startup Fundraising, il corso intensivo alla raccolta fondi la cui quinta edizione partirà a fine settembre. Ci rivediamo sul blog tra qualche giorno, il tempo di ricaricare le batterie e partire con settembre e le moltissime novità di cui presto vi parleremo. Buona lettura e buon riposo.
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Negli ultimi anni, benché con gravi ritardi e ancora importanti lacune, la Riforma del Terzo settore è andata avanti. Fra i decreti approvati, vi sono quelli dedicati alle “Linee guida per la redazione del bilancio sociale” (4 luglio 2019) e alle “Linee Guida per la realizzazione di sistemi di valutazione dell’impatto sociale” (23 luglio dello stesso anno). Che relazione hanno con il fundraising? Una relazione strettissima, poco chiara ai più e ricca di potenzialità.
Partiamo dal Bilancio sociale. Premesso che non vi è l’obbligo di redazione per tutti gli ETS, resta comunque per tutti uno strumento di comunicazione, trasparenza, cura della relazione con i portatori di interesse interni ed esterni e momento cruciale per guardarsi allo specchio e dirsi dove si sta andando. Si consideri infatti che:
- Le linee guida ricordano la Legge del 6 giugno 2016, che segnala gli “obblighi di trasparenza e di informazione, anche verso i terzi, attraverso forme di pubblicità dei bilanci e degli altri atti fondamentali dell’ente anche mediante la pubblicazione nel suo sito internet istituzionale”. Il Bilancio Sociale è “lo strumento attraverso il quale gli enti stessi possono dare attuazione ai numerosi richiami alla trasparenza, all’informazione, alla rendicontazione nei confronti degli associati, dei lavoratori e dei terzi”.
- Il Bilancio Sociale offre “la possibilità… ai soggetti interessati… di conoscere il valore generato dall’organizzazione ed effettuare comparazioni nel tempo dei risultati conseguiti”.
- In altre parole, il Bilancio Sociale può e dovrebbe:
- “fornire a tutti gli stakeholders un quadro complessivo delle attività, della loro natura e dei risultati dell’ente;
- aprire un processo interattivo di comunicazione sociale; favorire processi partecipativi interni ed esterni all’organizzazione;
- fornire informazioni utili sulla qualità delle attività dell’ente per ampliare e migliorare le conoscenze e le possibilità di valutazione e di scelta degli stakeholders;
- dare conto dell’identità e del sistema di valori di riferimento assunti dall’ente e della loro declinazione nelle scelte strategiche, nei comportamenti gestionali, nei loro risultati ed effetti;
- fornire informazioni sul bilanciamento tra le aspettative degli stakeholders e indicare gli impegni assunti nei loro confronti;
- rendere conto del grado di adempimento degli impegni in questione; esporre gli obiettivi di miglioramento che l’ente si impegna a perseguire;
- fornire indicazioni sulle interazioni tra l’ente e l’ambiente nel quale esso opera; rappresentare il «valore aggiunto» creato nell’esercizio e la sua ripartizione”.
Un discorso del tutto analogo vale per la Valutazione dell’Impatto sociale generato. Le Linee Guida, peraltro, lo dicono esplicitamente:
“Il legislatore individua nella valutazione dell’impatto sociale lo strumento attraverso il quale gli enti di Terzo settore comunicano ai propri stakeholders l’efficacia nella creazione di valore sociale ed economico, allineando i target operativi con le aspettative dei propri interlocutori e migliorando l’attrattività nei confronti dei finanziatori esterni”.
Ora, è del tutto evidente che le finalità di entrambe le Linee Guida saranno perseguite solo nella misura in cui gli ETS vedranno il Bilancio e la Valutazione dell’Impatto Sociale non soltanto come un obbligo formale e compilativo imposto dalla riforma, una scocciatura in più da togliersi di torno il prima possibile. Ma come processi strutturati e periodici di autoriflessione e riprogrammazione, da un lato, e di cura e sviluppo del legame di fiducia con tutti i portatori di interesse, dall’altro. Compresi i donatori, che andrebbero coinvolti a diverso titolo in questi processi (che siano aziende, istituzioni, fondazioni, volontari o singoli donatori).
In conclusione, gli ETS – grazie ai decreti appena citati – hanno l’opportunità di strutturare un approccio strategico al fundraising, coinvolgendo trasversalmente tutte le funzioni organizzative – a partire dal Board – e i principali portatori di interesse. Un approccio nel quale il fundraiser dovrà avere un ruolo centrale, in quanto fra i maggiori responsabili del legame di fiducia con i sostenitori.
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