Il tema del face to face fundraising, tornato in auge dopo l’ultimo post su Liguria Notizie, ha provocato forti reazioni nelle mie reti (leggi post precedente). Non avevo alcun dubbio in merito, nonostante l’estate che avanza e che porta molti di noi a voler soprassedere circa certi temi. Ciononostante,
il caldo non frena l’interesse al confronto, sintomo evidente che il benessere della professione ci sta a cuore eccome.
Vincenzo Niccoli è Trainer e Fundraising Coach con una lunga esperienza nel volontariato e nella raccolta fondi. Proviene dal mondo della comunicazione e del web nel quale si è occupato dell’aspetto commerciale e del marketing di alcune società e web agency. Negli ultimi anni ha lavorato con varie Ong fra cui AIRC, WWF, Albero della Vita, UNICEF e Fondazione Progetto Arca occupandosi di F2F fundraising, di eventi, dell’organizzazione dei volontari e del corporate.
A lui ho posto alcune domande che sono certa ci aiuteranno a inquadrare il problema, se di problema si tratta, naturalmente. Buona lettura.
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Q. 1 Tu, Vincenzo, sei sempre molto presente sui social e intervieni sempre in modo puntuale sui temi che tratto. Ti ho visto particolarmente focalizzato sull’argomento dei dialogatori. Ci racconti meglio il tuo punto di vista?
VN. Provengo dal volontariato e dal mondo della comunicazione e per questo motivo il terzo settore e il fundraising sono diventati la mia attività e la mia passione. Ritengo che già da alcuni anni si sarebbe dovuto riflettere, e tanto, su cosa sia diventato il F2F fundraising. Ne posso parlare con cognizione di causa perché me ne occupo da più di 10 anni, con precisione dal 2006, ed ho organizzato decine di team per tante Ong in tutta Italia. Fra l’altro i miei team residenziali, prima si svolgeva attività solo in tour, sono stati i primi a solcare centri commerciali e strade a Roma, Verona, Napoli, Palermo, Bari, Lecce e tante altre città. Negli ultimi anni è evidente un’attenzione rivolta solo ai numeri mentre si trascura completamente la qualità dell’interazione e le esigenze e la motivazione dei ragazzi che fanno questo lavoro. Il risultato sono ragazzi in strada con pochissima preparazione sulla comunicazione efficace e cosa ancora più grave pochissima conoscenza, a volte quasi nessuna, sui progetti e sulla causa che si sta presentando. Per motivi professionali giro tutta Italia e spesso mi faccio fermare da questi ragazzi proprio per capire la situazione attuale e devo dire che il livello è davvero basso e in alcuni casi pessimo. Credo che il F2F sia uno strumento di fundraising eccezionale ma se le Ong non inizieranno a controllare davvero la qualità e la professionalità delle agenzie e dei ragazzi che svolgono questa attività potrebbe diventare un problema per il fundraising e in generale per il Terzo settore.
Q. 2 Quali sono, a tuo modo di vedere, i tre problemi che contraddistinguono il F2F fundraising oggi? E quali soluzioni adotteresti per risolverli?
VN. Eccoli brevemente.
PRIMO: Va ridato il vero valore alla parola Fundraising che in Italia è tradotta in modo riduttivo raccolta fondi quando il verbo inglese “to raise” significa crescita quindi: crescita della notorietà della Ong, crescita di conoscenza della causa di cui si occupa, crescita della riconoscibilità e dell’impatto di questa causa nella società e solo infine crescita dei fondi.
SECONDO: le Ong proprio per ciò che ho indicato sopra dovrebbero puntare, per il fundraising, soprattutto alla qualità della interazione e della conseguente relazione. Nel caso specifico del F2F significa intervenire a più livelli in modo integrato:
- trasmettere le informazioni alle agenzie e ai loro team in modo diretto e con un aggiornamento continuo;
- controllare periodicamente il loro lavoro andando sul posto e verificando come si svolge davvero l’attività;
- intervenire e correggere gli eventuali comportamenti anomali e le modalità che potrebbero danneggiare la loro immagine e la loro causa.
È importante comprendere che il F2F è l’unica attività nella quale si incontrano di persona i potenziali sostenitori e gli attuali donatori. In quel frangente ci si gioca tutta la credibilità non solo della singola Ong ma di tutto il Terzo settore! La credibilità e la fiducia sono aspetti vitali che vanno preservati senza indugio.
TERZO: le agenzie dovrebbero capire la delicatezza del settore e lavorare con maggior scrupolo e attenzione. Questo vuol dire soprattutto formare bene i propri dialogatori almeno sulle basi della comunicazione ma ancora più importante informarli con cura e dovizia sulla causa aggiornandoli di frequente. Inoltre occuparsi delle loro esigenze e della loro motivazione per fare in modo che svolgano con professionalità e positività il loro lavoro, ed evitare che abbiano comportamenti dannosi o inadeguati col pubblico. Faccio un esempio: far seguire agli stessi ragazzi più organizzazioni contemporaneamente costringendoli al “cambio di casacca” con frequenza, svilisce la loro motivazione e la loro efficacia. Occuparsi del benessere dei propri team e creare team dedicati a una sola Ong per volta, diversamente, permetterebbe di avere persone più motivate, un turnover più basso e soprattutto di creare quel senso di appartenenza alla causa che è la cosa più importante in questa attività.
Q. 3 Altro da suggerire?
VN. C’è un’altra cosa: un’attenzione maggiore sui loro compensi e anche sulla loro crescita personale è quello che ho sempre fatto nei miei team e ha sempre dato ottimi risultati e un’eccellente qualità dell’interazione col pubblico.
Guest post. Tsx to Vincenzo Niccoli. Coach | Communication & Marketing | NLP Coaching Master Practitioner | EnnePlus Comunicazione srl | SDA Bocconi