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Smettiamola di credere e pensare che la cultura e l’arte debbano essere sostenute “naturalmente” da finanziamenti istituzionali.

Scrive così, Alberto Cuttica, in un passo di questo post un po’ più avanti nella lettura. Io stessa, per recenti esperienze, ho assaporato quest’aria anche un po’ di rassegnazione – per certi aspetti – a ciò che è stato finora. Tuttavia, la consapevolezza parte da un fatto: ciò che è stato finora, non sarà più. Stop. Facciamocene una ragione.

La cultura ha bisogno di attingere da fonti diverse e dal privato, così come un tempo, ma in modo moderno e professionale.

Alberto Cuttica, che sul fundraising culturale ha costruito il proprio percorso professionale, ci accompagna in questa presa di consapevolezza. Un bel post che precede un corso dedicato che si svolgerà a fine aprile alla Fundraising Academy, perché

di cultura si può vivere, se sostenibile.

Buona lettura.

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È accaduto a uno degli incontri che Hangar, il progetto di accompagnamento per le organizzazioni culturali del Piemonte in cui coordino l’area fundraising, ha organizzato con il DAMS di Torino per offrire agli studenti uno sguardo “dentro” la cultura, con testimonianze di professionisti e operatori affermati.

In una mattina di fine febbraio, la testimonial è una curatrice e critica d’arte: Olga Gambari. Mi aspetto un racconto sulla professione del curatore, sulle competenze richieste, sui suoi segreti. Si parla di come esprimere al meglio capacità e creatività.

Con la risposta arriva la bella sorpresa:

La libertà ha bisogno del denaro e in Italia la questione dei soldi genera sempre imbarazzo. Un curatore è un project manager con una grande conoscenza del tema. Ma sono necessari anche fundraiser. Perché la cultura è un’enorme risorsa economica, anche se è ancora difficile guadagnarci. Ed è un mercato in divenire”.

Queste parole, rivolte agli operatori culturali di domani da una professionista di oggi, ha confermato quello che diciamo da tempo, ma su cui cerchiamo sempre prove concrete: anche un settore “resistente al cambiamento” come quello culturale sta cambiando vocabolario.  E non solo: anche lo schema mentale che sta dietro l’utilizzo dei termini.

Il processo, lento ma costante, ha attraversato una sequenza di fasi, vissute un po’ come nella mitologia classica:

  • l’età dell’oro: dove le risorse non erano mai un problema e arte e cultura vivevano senza angosce ed affanni
  • l’età dell’argento: dove iniziarono ad esserci le stagioni, periodi fertili e periodi più rigidi. Ma con un’alternanza che consentiva di vivere bene, sapendo che ad un momento meno ricco sarebbe seguito uno più prospero.
  • l’età del bronzo (…o del ferro): quella attuale e prossima, in cui opereranno i giovani che si stanno per affacciare alla pratica. Anni in cui la scarsità di risorse ha visto nascere anche la conflittualità per la sopravvivenza.

La buona notizia, da cui siamo partiti, è che

il percorso si sta realizzando con la consapevolezza di chi lo vive.

Consapevolezza che significa conoscere il contesto in cui ci si muove e adottare schemi mentali e strumenti per farlo senza inciampare.

Affermare, anche e soprattutto nel mondo delle organizzazioni culturali, che “la questione dei soldi genera sempre imbarazzo” significa produrre gli anticorpi per la vergogna. Uno degli anticorpi è il fundraising (e chi se ne occupa con professionalità, senza far finta di fare un’altra cosa).

Significa, appunto, smettere di pensare che cultura debba naturalmente essere sostenuta da finanziamenti istituzionali oppure non essere. Come se tutto quello che non è finanziamento pubblico ne facesse in qualche modo venire meno la purezza.

Ecco, “sono necessari anche i fundraiser”. Perché ci sono mercati a cui rivolgersi in modo proattivo, con proposte di valore e strumenti di ingaggio diversificati e adeguati ai destinatari: “le persone normali”, che sono pubblico, ma sono anche sostenitori e ambasciatori,  i grandi sostenitori, che non sono figure mitologiche o al massimo presenti solo negli Stati Uniti; le aziende, sponsor ma non solo, perché il paradigma della pura sponsorizzazione è invecchiato precocemente; le fondazioni di tutti i tipi, non solo quelle bancarie che piacciono sempre perché a volte hanno ancora le sembianze di un bancomat a cui presentarsi senza aver paura di chiedere, perché sono lì apposta.

Il fundraising e il fundraiser servono “solo” ed essenzialmente a quello: a far emergere il valore che il prodotto artistico e culturale hanno. Che non sta solo nell’espressione creativa, ma è anche sociale ed economico e va espresso con le giuste chiavi di coinvolgimento.

Quindi il più è fatto?

No, siamo più che altro all’inizio: ci sono tanti segnali di evoluzione e buone notizie, ma serve che tutto questo diventi dominio comune, quasi ordinario.

E serve che i fundraiser siano professionali e professionalizzati, perché le opportunità da cogliere si fanno sempre più complesse: da vedere, da costruire, da gestire.

Di certo c’è anche un dato generazionale:

è un fatto che i nuovi professionisti della cultura nascano già “più leggeri”, con idee diverse (e, va detto, meno pregiudizi) rispetto a chi ha vissuto in un contesto diverso.

Se anche i decisori, i policy makers, faranno o continueranno a fare la loro parte per supportare la transizione (non limitandosi all’invito a “fare fundraising”, ma comprendendo anch’essi compiutamente di cosa si tratta), ci saranno enormi soddisfazioni per un Paese che di materia prima per il fundraising culturale ne ha – letteralmente – da vendere.

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Corso di 15 ore, 27/28 aprile 2018

Fundraising Culturale. Vivere d’arte e cultura è possibile, quando è sostenibile

nella nuova sede della Fundraising Academy, Via Stelvio 2 a Rho (MI). Bella, confortevole e comodamente raggiungibile da autostrade e stazione dei treni. Parcheggio libero in zona.

Chiusura iscrizioni: 23 aprile

SCOPRI DI PIÙ:

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ALBERTO CUTTICAGuest post. Txs to Alberto Cuttica.

Dopo un’esperienza di 15 anni nel fundraising e nello sponsoring per Università ed Enti di ricerca, da anni opera come consulente senior in fundraising e sviluppo organizzativo per ENGAGEDin srl, di cui è socio.

Dal 2015 si occupa specificamente di fundraising per il settore culturale, tra gli altri nell’ambito del programma regionale piemontese “Hangar, reiventare il futuro” che ha accompagnato oltre 70 organizzazioni culturali attive in Piemonte. Autore di testi e pubblicazioni. Tra gli ultimi, co-autore del volume “La (quasi) impresa – Manuale d’uso per operatori culturali”, ed. Il Sole 24 ore, 2017

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