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Gli Enti di Terzo Settore hanno sempre più a che fare con un donatore ormai maturo, non è più alla ricerca di “belle storie” da raccontare o leggere, quanto piuttosto di organizzazioni solide, capaci di mobilitare capitale sociale e di dimostrare l’evidenza del proprio impatto. L’accountability deve dunque passare da una visione funzionale a un approccio di sistema. Non è più tempo di agire sperando che vada bene. E’ ora di produrre consapevolmente.

Federico Mento, direttore di Human Foundation, ci introduce in questa nuova visione. Buona lettura.

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Negli ultimi anni, il tema dell’accountability, spostandosi dalla discorsività del settore pubblico e privato, è progressivamente entrato nello spazio semantico delle organizzazioni del Terzo Settore.

Come noto, la nozione di accountability non trova nella lingua italiana un termine equivalente che possa rendere pienamente il concetto. La radice tardo-latina accomptare, da cui deriva accountability, rimanda al verbo computare che porta con sé sia l’idea del calcolo che quella della stima, della reputazione. Le nozioni e i concetti che utilizziamo sono spesso polisemici, difficili da interpretare, talvolta sfuggenti e contraddittori. In effetti, l’intreccio tra calcolo e reputazione restituisce il senso del termine accountability, poiché il “rendere conto” non si esaurisce in un esercizio meccanico, nel raccogliere e riportare informazioni, bensì mobilita necessariamente la reputazione, ovvero la percezione dei portatori di interesse nei confronti di ciò che è stato restituito.

In che misura, dunque, l’accountability influenza la relazione tra le organizzazioni del Terzo Settore e i suoi stakeholder?

La missione delle ONP è certamente quella di perseguire il bene comune: un impegno esplicito – es. migliorare le condizioni di vita di una determinata popolazione target – che genera delle aspettative da parte degli stakeholder (es. beneficiari, donatori).

Le ONP, in coerenza con la propria missione, dovrebbero mettere in atto le azioni necessarie a perseguire il bene comune. Di conseguenza, il servizio o le prestazioni delle ONP sono soggette alla valutazione, alla percezione da parte degli stakeholder.

Nel settore profit, l’allineamento tra queste dimensioni consente di limitare le esternalità dirette, prevenendo il rischio di inefficienza ed inefficacia nell’erogare prodotti o servizi; indirette, poiché influenza il gradimento da parte degli stakeholder.

Nel caso delle ONP, l’allineamento pieno tra impegno, aspettative, azioni e valutazione non si esaurisce nel contenimento di esternalità potenzialmente negative, bensì assume una dimensione strategica, costituente e generativa per l’organizzazione, in quanto la sua legittimità scaturisce dalla capacità di realizzare la propria missione, soddisfacendo dei bisogni e generando impatti sociali a favore della comunità. Mentre lo Stato ed il Mercato si muovono rispettivamente nello spazio della redistribuzione e dello scambio, il Terzo Settore agisce nello spazio della reciprocità, all’interno del quale vi sono le persone ed i loro legami.

Il valore di un ONP non dipende, dunque, dai beni materiali che è in grado di scambiare o dagli asset che possiede, quanto piuttosto dalle relazioni di reciprocità che è in grado di generare e gestire.

In tal senso, la reciprocità si stabilisce nel momento in cui sussiste una relazione fiduciaria, di conseguenza l’accountability diviene fondamentale per alimentare la fiducia tra l’ONP ed i portatori di interesse. Laddove viene meno la relazione di fiducia, per mancanza di accountability, l’ONP perde di conseguenza la sua “ragione sociale”, poiché l’organizzazione esiste in funzione dei suoi stakeholder. Nonostante, dunque, l’accountability rappresenti un elemento fondamentale nella legittimazione delle organizzazioni del Terzo Settore, le prassi restituiscono un’immagine in chiaro-scuro.

Vi sono, a mio avviso, diversi elementi che hanno ostacolato l’adozione di processi di accountability. In primo luogo, ritengo che l’attore pubblico sia stato, soprattutto nell’ultimo decennio, un fattore distorsivo; da un lato, proponendo una visione prettamente sanzionatoria delle attività di valutazione dei servizi, dall’altro, offrendo un approccio alla programmazione centrato sulle prestazioni da fornire in luogo di concentrarsi sugli impatti attesi. Nel rispondere a questa impostazione della PA, l’attenzione delle organizzazioni del Terzo Settore si è spostata, quasi naturalmente, verso un approccio prettamente compilativo, a discapito della qualità del processo di accountability. Se, da una parte, la PA non ha favorito la diffusione di una cultura “alta” dell’accountability e della valutazione, i grandi donatori, dall’altra, hanno progressivamente aumentato l’attenzione verso i processi di rendicontazione sociale e, in particolare, verso la valutazione degli impatti degli interventi sostenuti.

Si tratta, di certo, di un percorso articolato, dove l’allineamento degli interessi tra donatori e ONP può risultare complicato e, talvolta conflittuale. Vi possono essere, infatti, interpretazione divergenti rispetto alle metriche e, dunque, nella valutazione dell’esito dell’intervento. Al di là delle incomprensioni che possono sorgere rispetto all’interpretazione dei risultati,

il ruolo dei grandi donatori risulta essere centrale nella promozione dell’accountability e della valutazione.

Pensiamo, ad esempio, alla recente iniziativa del Fondo di contrasto alle povertà educative, nell’ambito del quale la valutazione degli impatti, realizzata da una terza parte, diviene requisito fondamentale per la presentazione delle domande. Sebbene vi siano degli elementi nel disegno del Fondo che possano essere migliorati, l’iniziativa ha fatto sì che migliaia di organizzazioni si approcciassero al tema della valutazione in una prospettiva più avanzata.

Nonostante l’effervescenza del dibattito, la diffusione di processi di accountability, declinati a livello strategico, è certamente limitata. La grande sfida che ci attende è proprio quella di

portare l’accountability da una visione funzionale, circoscritta ad una singola iniziativa, ad un approccio sistemico, nel quale i processi di rendicontazione sociale delle proprie attività divengono parte fondamentale della strategia di un’organizzazione.

Un approccio strategico all’accountability, consente all’organizzazione di mantenere l’allineamento, descritto nella prima parte di questo contributo, tra la missione, le aspettative, le azioni e le percezioni. Per quanto concerne i beneficiari diretti, operativizzare un’accountability strategica consente di rispondere in maniera più efficace ai bisogni sociali. Si stabilisce, infatti, un loop positivo di dialogo e confronto tra l’ONP ed i suoi beneficiari, attraverso il quale l’organizzazione può continuamente ottenere informazioni circa il livello di raggiungimento della soddisfazione dei bisogni e, laddove vi siano delle asimmetrie tra obiettivi ed implementazione, mettere in atto delle misure correttive. Al medesimo tempo, muovendosi sempre di più verso una prospettiva di co-design e co-produzione dei servizi, un’accountabilty strategica favorisce il coinvolgimento degli stakeholder e, di conseguenza, migliora la qualità dell’interazione, rendendo più solido il processo partecipativo. Nel caso dei lavoratori, un approccio strategico all’accountability contribuisce al rafforzamento del senso di appartenenza all’organizzazione, incrementando il livello di partecipazione alla vita associativa. Come nel caso dei beneficiari, la dimensione dialogica, insita nel processo di accountability, favorisce il miglioramento della qualità nell’erogazione dei servizi, grazie ai feedback che provengono lavoratori. L’adozione di un approccio strategico, poi, diviene un elemento fondamentale nella relazione con i donatori. In un contesto caratterizzato dalla scarsezza di risorse, quanto più un’organizzazione sarà in grado di dimostrare sia l’efficacia del proprio intervento che l’efficienza nell’utilizzo delle risorse, maggiore la sarà la sua credibilità nei confronti dei donatori.

Alla luce della nostra esperienza,

i donatori non sono più alla ricerca di “belle storie” da raccontare, quanto piuttosto di organizzazioni solide, capaci di mobilitare capitale sociale e di dimostrare l’evidenza del proprio impatto.

A tal fine, gli strumenti sino ad oggi utilizzati, come il bilancio sociale, risultano essere imperfetti. Non è più sufficiente limitarsi a computare il numero di ore prestate ad un determinato servizio, poiché il donatore maturo è alla ricerca di informazioni qualitativamente differenti. La dimensione compilativa dei bilanci sociali, infatti, non restituisce informazioni salienti circa gli impatti raggiunti, piuttosto, tende a riprodurre un esercizio meccanico di scarsa utilità sia per l’organizzazione che per gli stakeholder. Spesso, l’ONP vive la redazione del bilancio sociale come un esercizio oneroso ma privo di senso, in quanto le informazioni raccolte non sono sufficientemente articolate e profonde per alimentare la riflessione dell’organizzazione. Di contro, la reportistica compilativa non fornisce al donatore alcuna indicazione sulla bontà della selezione di quel progetto o di quell’organizzazione, ciò vale sia nel caso del settore pubblico che del settore privato.

Pensiamo, ad esempio, all’interesse che un numero crescente di grandi donatori sta dimostrando verso approcci valutativi rigorosi e, contestualmente, manifesti l’esigenza di trovare strumenti metodologici che producano informazioni comparabili circa gli impatti raggiunti. Quest’ultima rappresenta una delle grandi sfide che il Terzo Settore si troverà ad affrontare nei prossimi anni, rispetto alla quale non vi sono soluzioni passepartout, ma sarà necessario un lungo percorso per condividere prassi e metodi e, via via, affinare gli strumenti. Affinché un’ONP possa sviluppare un processo sostenibile di fundraising, il livello di accountability diviene, dunque, una variabile tutt’altro che secondaria, assumendo, al contrario, una funzione centrale. La transizione in atto, dall’attuale modello erogativo, nel quale le organizzazioni ottengono risorse a fronte di attività da realizzare, verso approccio pay-by-result, ove la remunerazione avviene in base agli impatti ottenuti, andrà a favorire quelle ONP che hanno saputo raccogliere, nel tempo, la sfida dell’accountability, investendo sulla trasparenza, sulla valutazione, ovvero sulla propria credibilità.

Reciprocità e fiducia sono i grandi asset del Terzo Settore, rafforzare la propria accountability non si esaurisce in un esercizio di stile, quanto piuttosto in un’attività strategica che ci consentirà di affrontare le radicali trasformazioni che stanno modificando il nostro sistema di welfare.

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Federico MentoGUEST POST: Txt to Federico Mento, direttore di Human Foundation.

Dottore di ricerca in scienze etnoantropologiche, si occupa di studi urbani. Federico è esperto di relazioni istituzionali, ha lavorato nel settore della progettazione europea e al Ministero delle Politiche Giovanili. È stato docente a contratto di Antropologia dell’Ambiente all’Università di Siena e di Antropologia Culturale presso il Corso di Laurea in Cooperazione e sviluppo alla Sapienza. Federico parla italiano, inglese, spagnolo e portoghese.

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