Cosa ti ricorda questa immagine?

Un anno fa in queste ore, si apriva lo scandalo che prese il nome di Pandoro Gate (ripercorriamo). Era la mattina del 15 dicembre 2023, 10 giorni dal Natale. Increduli, disorientati e pure un po’ arrabbiati, seguivamo con curiosità e apprensione lo sviluppo di una vicenda che pensavamo avrebbe sollevato dubbi diffusi sulla credibilità del dono e dei nostri enti, proprio nel periodo natalizio, il più fecondo per noi e le nostre campagne.

Un caso che sembrava il preludio di una crisi più ampia, come si leggeva da più parti: un crollo di fiducia che avrebbe travolto il non profit o dal quale saremmo usciti con le ossa rotte. Un caso, vero, tra gli altri, ma enormemente potente se pensato legato all’allora tendenza crescente di coinvolgere influencer e testimonial vari semplicemente in base della loro notorietà sui social.

Non è successo nulla di tutto questo, per fortuna. Il caso è rimasto isolato, attribuito più ai comportamenti dei singoli che al sistema e diventando, per quanto mi riguarda, un caso studio per l’aula. Eppure, non voglio dimenticare. Non posso permettermi di dimenticare quanto la reputazione sia preziosa, quanto vada protetta e curata.

La reputazione è il nostro capitale

Lato ente. Viviamo in un’epoca in cui non basta fare del bene: bisogna farlo vedere, raccontarlo, dimostrarlo. Il valore di un’organizzazione non si misura solo nei risultati, ma nella fiducia che sa generare. E quella fiducia si costruisce ogni giorno, passo dopo passo.

La reputazione è il nuovo capitale, non a caso si parla da qualche tempo del concetto di economia della reputazione (o reputation economy). Senza, non ci sono donatori, sostenitori, partner. Non ci sono opportunità. È un bene prezioso, ma anche delicato. Ci vuole poco a incrinarla: un messaggio sbagliato, un dettaglio sottovalutato, un comportamento incoerente. Quando si parla di non profit, le persone non cercano solo progetti a cui aderire: cercano storie autentiche, valori che risuonino con i loro. E pretendono coerenza.

La reputazione si costruisce nei dettagli. Ogni campagna, ogni messaggio, ogni gesto dice qualcosa su di noi. Pensiamo a una raccolta fondi: non è solo un’operazione economica, è un atto di fiducia. Ogni parola, ogni immagine, ogni scelta – dalla piattaforma al tone of voice – contribuisce a definire chi siamo e cosa rappresentiamo. Il non profit non può permettersi leggerezze. Quando raccontiamo una storia, promettiamo qualcosa. E una promessa tradita fa male, più di un errore tecnico.

Il valore di lungo periodo

Costruire una reputazione solida è un investimento. È qualcosa che si alimenta nel tempo, con azioni coerenti e scelte ponderate. Non possiamo limitarci a gestire il presente: dobbiamo guardare lontano, immaginare gli effetti di ogni decisione non solo sul qui e ora, ma sul domani. Ecco perché è importante ricordare il pandorogate, anche a un anno di distanza. Non per puntare il dito, ma per imparare. Per ricordarci quanto sia preziosa – e vulnerabile – la fiducia delle persone. Per ricordare che il nostro compito, come operatori del non profit che si occupano di fundraising (ma non solo), è uno solo: essere garanti del dono. Difendere la trasparenza, la coerenza, la credibilità. Non possiamo controllare tutto, ma possiamo lavorare ogni giorno per dimostrare che il dono è qualcosa di sacro.

Un anno dopo, abbiamo tutti tirato un sospiro di sollievo: il non profit ha retto. Ma il ricordo di quel pandoro, con tutto il suo carico simbolico, deve restarci in mente. Perché ci ricorda ancora una volta, semmai non fosse ancora chiaro, che il nostro vero patrimonio non sono i fondi raccolti, ma la fiducia che li rende possibili. 

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