“Il re è nudo!” urlava un bambino sbigottito nel vedere passare il sovrano in mutande tra la folla acclamante.
“Perché il re è nudo!” afferma Carlo Mazzini rispondendo a chi gli chiede se vede positivo il futuro del Terzo settore, in particolar modo per via del gran movimento di riforme che lo vede protagonista.
Il nonprofit italiano sembra giunto al punto in cui tutti sanno ma nessuno dice. Proprio come tra le più classiche delle favole di Hans Christian Andersen, I vestiti nuovi dell’imperatore. Questo, almeno, è quanto è emerso lo scorso 8 luglio in occasione dell’anteprima del Nonprofit Leadership Forum a Milano.
Chi conosce Carlo Mazzini, direttamente o grazie al suo blog, arriverà da sé a dare una risposta al quesito. Per quanto mi riguarda, gli devo anche il piacere di aver riportato alla memoria questa favola che, nel suo significato allegorico, tratta dei condizionamenti dell’uomo determinati, in modo particolare, dall’esigenza di adeguamento sociale e dalla paura di differenziarsi dagli altri.
Ma pregiudizi e conformismo porteranno davvero il nonprofit a un appiattimento inesorabile?
Un aspetto che sembra una costante quanto si parla di associazionismo e che è emerso più volte con spunti davvero interessanti durante il confronto a tre moderato da Beatrice Lentati tra Giangi Milesi (@CesviPresidente, presidente di Cesvi), Niccolò Contucci (direttore generale di Airc) e Alessandro Betti (direttore fundraising di Telethon).
Per i tre leader, le soluzioni sono presto dette.
Liberarsi dalla logica del volontariato e del piccolo è bello è la soluzione per Giangi Milesi.
Autoreferenzialità, pensiero unico e processo decisionale “allargato” (cit. Stefano Zamagni, Le Giornate di Bertinoro, 2006) sono i limiti su cui il Terzo settore si arena e sui quali è necessario fare un passo oltre.
Di “paradosso del rispetto” sembra parlare Alessandro Betti quando si riferisce a una visione eccessivamente “comprensiva” da parte dei manager o dei direttivi provenienti dal profit.
Come a dire che, tutto sommato, i risultati sono secondari rispetto alla bontà della causa. Questa visione ridotta si traduce mancanza di sfida. Di challenge, come la chiama Betti. La chiave è lì: occorre aprirsi a 360° e osare.
“Il nonprofit non cresce perché il punto di vista e le decisioni sono quelle del paron”, fa eco Contucci. E conclude: “Un passo indietro dei fondatori sarebbe auspicato”.
Nel nonprofit come nel 97% delle aziende italiane che, come ben sappiamo, sono micro. Governance e processi decisionali sono abbottonati a un punto di vista unico che inficia innovazione e progresso. Utile, a tal fine, un passo indietro o, quantomeno, una maggiore fiducia verso i collaboratori.
Perché tutto, per tornare a Mazzini, ruota appunto attorno a una sola parola: leadership.
Occorre armarsi di coraggio per guidare (to lead, appunto), la propria organizzazione, il proprio movimento, la propria idea verso qualcosa. Senza timore di coinvolgersi perché se ci si sporca le mani, si impara. Se si impara, si cresce. Senza alcun dubbio e senza soluzione di continuità.
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Credits: Thanks to Raffaele Picilli
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