Quanto ci sa fare il nonprofit sui social? E perché ci va? Una ricerca, non italiana purtroppo, condotta su oltre 9mila (non male, direi) tra piccole e medie organizzazioni nonprofit tra Stati Uniti e Canada ha rilevato dati interessanti e, a mio modo di vedere, tranquillamente condivisibili anche nel Belpaese. In particolare, sono cinque gli aspetti che emergono:
- L’85% delle ONP intervistate indicano Facebook quale social network principale.
- La maggior parte delle ONP non hanno una strategia di SMM chiara e documentata.
- La gestione è demandata quasi sempre a una persona sola.
- Gli obiettivi sono diversi ma non sempre si misurano i risultati.
- Difficilmente vi è una mappatura dei donatori provenienti dal mondo social (e dei loro comportamenti, ndr. Aspetto, questo, di notevole interesse in termini di profilazione, fidelizzazione e cura dei dati in database)
La pluralità degli obiettivi riportati nella tabella qui accanto suggerisce, al contrario, un Terzo settore sempre più capace di approfittare delle opportunità offerte dalla Rete a costi tutto sommato contenuti (ma anche in questo caso, aprirei un capitolo a parte).
Advocacy, brand awarness, condivisione di notizie svettano su fundraising e people raising:
che non si chatti solo per ottenere donazioni e per fare spamming – si legge su Hubspot.com – è un buon segno.
Rimando alla fonte per un approfondimento e per leggere i dati.
Quali dovrebbero essere le parole d’ordine per una nonprofit che vuole fare bene sul web? Monitorare. Mappare. Classificare. Pianificare. Integrare. E in questo esatto ordine:
- Monitorare il web per comprendere quali sono le migliori opportunità offerte dalla Rete e farlo a partire dall’analisi approfondita delle statistiche sul sito internet dell’organizzazione: traffico (in entrata e in uscita: da dove e per dove) e frequenza di rimbalzo dicono molto non solo sulla causa in sé ma sul contesto in cui la causa è inserita. Conoscerlo puntualmente e comprenderne l’evoluzione permetterà all’organizzazione di sfruttuarne al meglio le dinamiche e mettersi in posizione di vantaggio.
- Mappare la Rete per capire quali contesti sono più fertili per l’organizzazione: dove si concentra la comunità d’interesse? qual è il linguaggio che usa? qual è il tono della comunicazione? come posso coinvolgerla?
- Classificare la Rete secondo obiettivi: la profilazione del target e l’uso del canale più adeguato non sono pratiche scontate. Nemmeno sul web. Un costo contatto basso non è un buon motivo per provarci.
- Pianificare le azioni di comunicazione in modo adeguato, calendarizzando i contenuti. Il giusto e a tempo debito. Investire il web come uno tsunami non fa apparire quanto abbiamo da dire più interessante. Anzi. La ricerca rileva che in materia di social media il 67 % delle ONP non ha strategie, politiche e obiettivi né chiari né documentati e questo è un peccato perché un ordine mentale contribuirebbe a rendere ancor più ricco e bello quanto di bello e ricco in Rete c’è di sociale.
- Adottare una social media strategy integrata. Non solo facebook, quindi. Blog, sito web, micrositi, social network, e-mail, viral marketing: cosa comunichi, come comunichi, dove comunichi e perché comunichi. La mano destra deve sapere cosa fa la sinistra per ottenere il massimo. In modo diverso ma pur sempre consapevole.
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