Partecipo al Salone della CSR e dell’innovazione sociale sin dal 2013, anno in cui è nato questo bellissimo evento dall’idea di Rossella Sobrero e che è diventato, a ragione, l’appuntamento più atteso sulla sostenibilità in Italia. Facebook puntualmente me lo ricorda facendomi rivivere gli attimi nel feed personale. Ma oltre a ricordarmi che il tempo passa, mi rammenta i tavoli che ho moderato, le persone incontrate, l’evoluzione della responsabilità sociale.
Anche quest’anno ho avuto il piacere di moderare un tavolo dedicato, ospiti di primissimo piano che hanno portato la loro esperienza e i propri progetti: azioni concrete attraverso le quali rinforzare il proprio brand e il proprio business prendendosi cura, al tempo stesso, degli altri. Perché una cosa non esclude necessariamente l’altra, anzi.
Ricordo sempre molto bene le parole di Luca Pereno, CSR Manager di Leroy Merlin e ora anche amministratore presso (RI)GENERIAMO Srl – Società Benefit, che, durante un evento da me realizzato sempre all’interno del Salone nel 2016, aveva utilizzato una metafora che ancora oggi mi accompagna nella formazione al corporate fundraising in aula:
Ognuno deve fare ciò che deve: le aziende devono essere come i maître d’hotel, devono fornire le chiavi al proprio ospite.
La similitudine è di semplice comprensione.
Ogni attore deve fare ciò per cui è nato: l’azienda deve fornire le risorse utili (chiavi, ndr) affinché gli enti (ospiti, ndr) possano svolgere al meglio i propri compiti sociali. Questo equilibrio permette la massimizzazione dei risultati e garantisce la massima soddisfazione per entrambi.
In una situazione complessa come l’attuale, le sfide sono sia strategiche che organizzative. In questo contesto, anche il rapporto tra imprese ed Enti del Terzo settore si sta modificando. Da una parte ci sono le imprese che chiedono di essere maggiormente coinvolte nella progettazione; dall’altra, le organizzazioni nonprofit si stanno sempre più aprendo al dialogo. Dal mio osservatorio, provo a pormi tre interrogativi; ciascuno porta con sé tre spunti di riflessione.
Eccoli esposti.
Cosa ho visto essere cambiato nel corso di questi 8 anni?
- È aumentata la consapevolezza dell’importanza del ruolo delle imprese in termini di utilità sociale. Le aziende vogliono essere sempre più protagoniste del cambiamento ma stanno comprendendo che ciò è possibile se si affidano a partner credibili che consentano loro maggiori risultati.
- C’è un’attenzione crescente all’impatto o, per meglio dire, al cambiamento che l’intervento aziendale può apportare e questo è un bene. Il ritorno non è più solo quantificato attraverso un parametro quantitativo di breve periodo ma c’è uno sforzo che va oltre, che va alla riflessione ex ante di ciò che si vuole raggiungere.
- Ciò, come conseguenza, comporta una maggiore attenzione alla progettazione che diventa più strutturata e complessa. Complessità e strutturazione portano un impegno di più lungo periodo in modo da spalmare lo sforzo su più anni e favorire, così, risultati crescenti.
Su cosa invece credo ci sia ancora da lavorare?
- Come ben rileva Francesca Magliulo di Fondazione EOS, mia ospite alla tavola rotonda, grande assente il pubblico che dovrebbe, diversamente, essere maggiormente presente. Solo in questo modo, aggiungo, potrebbe realizzarsi quel principio di sussidiarietà circolare di cui tanto si parla e a cui si tende come sublimazione del nostro nuovo sistema di welfare.
- Se i grandi brand profit scelgono i grandi brand nonprofit, e questo è anche comprensibile perché questi ultimi probabilmente sono in grado di garantire programmazione, maggior controllo e risultati, vedo invece ancora mancare la diffusione della CSR di prossimità, sui territori, quella che può (e deve) legare gli enti più piccoli al tessuto produttivo locale, che è tipico del Belpaese. Proviamo a pensare quante cose si potrebbero fare se ci si sedesse intorno a un tavolo e si progettasse insieme. Il CRM, ovvero il ricorso ad azioni marketing da legare alla buona causa, possono produrre cicli virtuosi restituendo un po’ di fiducia all’interno delle comunità.
- Va dunque ridotta la forbice tra potere e dovere: ciascuno, insomma, faccia quel che può ma lo faccia perché deve. Per uscire dal caos, dobbiamo darci una mano.
Quale deve essere l’impegno comune?
- Continuare a monitorare, rinforzandolo, il cambiamento promosso prima e prodotto poi.
- Aumentare la fiducia allargando la sfera degli interlocutori. Sì, ma come? Indispensabile una formazione alla responsabilità sociale e alla consapevolezza di come questa possa agire in termini di produttività reale.
- Corresponsabilizzazione è la parola chiave per far crescere non solo il nonprofit, ma anche il profit: un approccio strategico a cui il primo a beneficiarne è il benessere pubblico.
Ringrazio dunque gli organizzatori del Salone e i miei ospiti di quest’anno per l’entusiasmo con cui promuovono la propria responsabilità sociale e per avermi dato lo spunto per la stesura di questa riflessione: Marcello Donini (CSR Manager, E.ON Energia), Giorgia Freddi (Communication, Corporate Responsibility & Public Affairs Director, AXA Italia), Francesca Magliulo (Direttrice, Fondazione EOS, Edison Orizzonte Sociale), Mariavittoria Rava (Presidente Fondazione Rava NPH Italia), Piera Regina (Communication Lead, Kellogg Italia, Kellogg Company), Veronica Rossi (Sustainability Manager, Lavazza).
A te, se vorrai, lancio l’invito alla visione del confronto: buon ascolto.
(Foto mie)
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