Quando parlo del mio lavoro, il più delle volte mi capita di imbattermi in due situazioni:
- La prima è che non capiscano realmente di che cosa mi occupo. Spesso, il mio interlocutore conclude con un “Ah. Ho capito” che ti lascia intendere che non è proprio così;
- La seconda che sottovalutino compiti e implicazioni. Cosa che già avveniva già quando mi occupavo di creatività in senso stretto e che non è cambiata ora che di comunicazione e marketing mi occupo in modo strategico.
A ben vedere, entrambe le situazioni finiscono con l’avere un unico risultato: quello di liquidare a banalità un’area del nonprofit che spesso è relegata come secondaria (o accessoria), e per questo spesse volte sacrificata in nome della mission; area invece vitale, per l’appunto, ai fini della mission.
Paradosso? Ebbene sì. Pensiamoci bene: in un momento di difficoltà come quello attuale, qual è il comparto che vede i primi tagli? La comunicazione e la raccolta fondi. E con esso, le teste della comunicazione e della raccolta fondi.
Lo scrivevo qui: i momenti più difficili sono quelli in cui è opportuno investire per acquisire quote di mercato lasciate libere. Tagli drastici finiscono con l’inficiare quanto di buono è stato seminato e raccolto nei mesi floridi.
Se il primo assioma della comunicazione di Watzlawick dice che “è impossibile non comunicare”, non vedo come sia possibile per un’impresa fare a meno di una buona comunicazione per proporsi in modo corretto sul mercato. A maggior ragione, per un’impresa nonprofit che vede nell’utilità sociale il proprio bene di scambio. Ma come facciamo a proporre questo bene se non lo comunichiamo? Detto in altri termini: come facciamo a crescere se nessuno ci conosce?
Bene. Abbiamo scoperto l’acqua calda.
Facciamo un passetto in più: ma se la comunicazione, il marketing e il fundraising sono essenziali nel processo di crescita di un’organizzazione perché non valorizzare e investire sulle figure preposte a ricoprirne i compiti?
I due punti più sopra hanno un unico fil rouge: TUTTI POSSONO CHIEDERE MA NON TUTTI SANNO CHIEDERE. Benché sembri simile, la differenza semantica è sostanziale. A mio modo di vedere, un fundraiser è UN UNCOMMONLY CREATIVE: UN INSOLITAMENTE CREATIVO!
Mi piace questa definizione. E mi piace quest’icona. E’ un po’ così che mi sento ed è questa la caratteristica comune che ritrovo nelle persone che ho la fortuna di conoscere e che hanno deciso di intraprendere la stessa professione. Sempre un po’ in bilico tra l’azzardo e la sobrietà. Tra follia e lucidità.
Il consiglio che mi sento di dare è: è importante scegliere la persona giusta. Se l’hai trovata, tienitela stretta. E’ preziosa. Fa’ attenzione ai compromessi: una falla rattoppata resta sempre una falla.