Ferisce più la lingua che la spada, dice un detto.
I tagli nell’anima bruciano più di quelli sulla pelle e provocano segni difficili da cancellare che nel tempo si trasformano ma non si cancellano.
La comunicazione e il suo uso corretto sono centrali anche nelle pratiche quotidiane di un fundraiser e di questi dovrebbe occuparsi con dedizione e senza compromessi, non accettando – né per sé, né per altri – l’uso di stili grigi e poco rispettosi degli scopi proposti, in primis per il rispetto della dignità delle cose e delle persone di cui ci facciamo portavoce.
E in Rete, le pratiche fosche e le malelingue sono una cosa che personalmente mi infastidiscono non poco e che contaminano negativamente le opportunità incredibili che noi e le nostre organizzazioni possiamo ottenere dall’uso corretto e consapevole dei social network.
Contro questo “stile ostile” nasce Parole O_Stili, la bella iniziativa promossa da una community trasversale di oltre 300 tra giornalisti, manager, politici, docenti, comunicatori e influencer per contrastare l’ostilità sul web.
Parole O_Stili è un progetto collettivo nato per far riflettere sulla non neutralità delle parole e sull’importanza di sceglierle con cura (fonte, Linkiesta).
Il primo momento di confronto si è concluso da poco (Trieste, 17 e 18 febbraio 2017) grazie alla collaborazione con la Regione Friuli Venezia Giulia. Con l’occasione, è stato presentato il “Manifesto della comunicazione non ostile” (vai al link) scritto a più mani dalla community con l’obiettivo di ridurre, arginare e combattere i linguaggi negativi della Rete.
Sul sito dedicato, si legge:
Il potere delle parole: commuovono, scaldano il cuore, valorizzano, danno fiducia, semplicemente uniscono… E poi ci sono tweet, post e status: feriscono, fanno arrabbiare, offendono, denigrano, inesorabilmente allontanano. Perché se è fottutamente vero che i social network sono luoghi virtuali dove si incontrano persone reali, allora viene da domandarsi chi siamo e con chi vogliamo condividere questo luogo.
Anche in questo caso, è sempre una questione di comportamenti e di accettazione di buone pratiche. Per questo ti invito ad aderire a questo manifesto, che insieme ad altre iniziative più interne nate a tutela dell’uso corretto delle immagini sociali usate nel fundraising, vanno ad arricchire un movimento consapevole di cui ciascuno di noi, nella responsabilità del ruolo professionale che ricopriamo, dovremmo farci portavoci e sostenitori attivi.
Se ne condividi i princìpi, firma qui. Io l’ho fatto, tu?