
Arrivati alla quarta fase del ciclo strategico del non profit, ci troviamo davanti a una delle sfide più grandi per le organizzazioni non profit: capire se gli sforzi stanno davvero generando un impatto. Se abbiamo imparato che analisi, progettazione e azione sono importanti e vitali, spesso dimentichiamo che è altrettanto importante fermarsi a misurare se quanto fatto sta davvero producendo i risultati sperati. La verifica dei risultati ottenuti rimane molto spesso chimera. Vero è che aziende e fondazioni chiedono indicatori e misure per capire preventivamente se quanto richiesto (ex ante) ha un senso con quanto si propone di raggiungere (ex post) e dunque perché non farla diventare pratica comune?
Insomma…
Come dice un detto napoletano, “passata la festa, gabbato lo santo”. In altre parole, una volta che un progetto è stato avviato e portato a termine, presi dalla quotidianità si passa subito al successivo, senza chiedersi se quello che è stato fatto ha realmente funzionato, se poteva essere migliorato o se le risposte fornite erano ancora attuali. La misurazione non serve solo a dimostrare il valore del lavoro svolto, ma anche a rigenerare continuamente le strategie, affinché la seconda volta sia meglio della prima.
Perché misurare è essenziale? Nel non profit, l’impatto non è una questione di percezione, ma di realtà. Non basta sentirsi soddisfatti del lavoro svolto: servono dati, riscontri concreti, evidenze che dimostrino che il cambiamento auspicato sta davvero accadendo. E, soprattutto, che gli sforzi siano direzionati nel modo giusto.
Sono quattro gli strumenti chiave che concorrono alla misurazione e il miglioramento. Eccoli esposti.
1. Indicatori di performance (KPI): come misuriamo il successo?
Senza indicatori chiari, qualsiasi valutazione diventa un’opinione personale. Nel non profit, i KPI devono andare oltre i numeri e raccontare una storia concreta.
Domande guida:
- Quante persone hanno beneficiato delle nostre iniziative?
- I fondi raccolti sono stati utilizzati in modo efficace?
- Le attività realizzate hanno prodotto i cambiamenti sperati?
Se, ad esempio, un’organizzazione ha avviato un programma di supporto all’infanzia, un KPI quantitativo potrebbe essere il numero di bambini raggiunti, mentre un KPI qualitativo potrebbe essere il miglioramento delle loro competenze o condizioni di vita. Questi numeri (indicatori quantitativi) e riscontri (indicatori qualitativi) fungono da base per verificare l’andamento dei risultati successivi. Senza una bussola, va ricordato, si naviga a vista.
2. Valutazione dell’impatto: cosa abbiamo davvero cambiato?
L’obiettivo finale di un’organizzazione non è semplicemente fare, ma produrre un cambiamento duraturo. La valutazione dell’impatto serve proprio a questo: capire se le azioni hanno lasciato il segno.
Domande guida:
- Qual è il cambiamento effettivo che abbiamo generato?
- L’impatto è sostenibile nel tempo?
- Ci sono effetti collaterali positivi o negativi che non avevamo previsto?
Se un’associazione lavora per l’inclusione lavorativa di persone svantaggiate, non basta sapere quanti corsi di formazione sono stati erogati. Serve valutare quante di quelle persone hanno trovato un lavoro stabile dopo un tot tempo dato.
3. Ciclo di miglioramento continuo: come possiamo fare meglio?
La misurazione non è solo una verifica, ma uno strumento di apprendimento. Se qualcosa non funziona come previsto, l’approccio corretto non è difendere ciò che si è fatto, ma adattarlo.
Domande guida:
- Quali iniziative hanno funzionato meglio? Perché?
- Dove possiamo correggere il tiro?
- Ci sono nuove opportunità o criticità da considerare?
Una campagna di raccolta fondi che non ha raggiunto gli obiettivi previsti non è un fallimento, ma un’opportunità di apprendimento: forse il messaggio non era chiaro, forse i canali di comunicazione andavano diversificati, forse la tempistica non era ideale.
4. Coinvolgimento degli stakeholder: chi ci può aiutare a capire meglio?
Chi meglio di chi è coinvolto direttamente può dare un riscontro sul nostro operato? Beneficiari, donatori, volontari, partner: ognuno di loro ha una prospettiva preziosa.
Domande guida:
- Cosa dicono i beneficiari dei nostri servizi?
- I nostri sostenitori comprendono e condividono la nostra visione?
- I partner trovano valore nel collaborare con noi?
Se un ente lavora con giovani a rischio di esclusione sociale, raccogliere feedback diretti attraverso questionari o focus group, opportuni e semplici strumenti di misurazione che possono offrire spunti preziosi per migliorare il proprio approccio.
Misurare per crescere, non solo per rendicontare
Troppo spesso la misurazione viene vista solo come un obbligo burocratico, un dovere imposto dai finanziatori. Ma non è solo questo: è la chiave per migliorare, crescere e rafforzare la credibilità dell’organizzazione. Un ente che sa misurare il proprio impatto sa anche raccontare il proprio valore in modo chiaro, coinvolgere meglio i donatori e prendere decisioni più informate.
Chiudo con la consueta domanda: la tua organizzazione sta misurando il proprio impatto o naviga a vista? Se la risposta non è un “sì” convinto, è forse il momento di fermarsi e ripensare il processo. Perché un cambiamento reale ha bisogno di numeri, analisi e la volontà di migliorare, sempre.