Proseguiamo?

La campagna di Natale prende forma. Le storie sono scritte, i contenuti si stanno adattando ai diversi canali, le prime newsletter cominciano a uscire. È il momento di fare un passo ulteriore: capire davvero a chi stiamo parlando.

Perché, nel fundraising, non è mai solo questione di cosa dire, come più volte ribadito. È questione di a chi lo dici e perché.

Ogni donatore ha la propria ragione, la propria emozione, il proprio modo di leggere il mondo. E una campagna efficace è quella che riesce a intercettare queste differenze, con rispetto e misura.

Capire chi c’è dall’altra parte

A volte, nel lavoro di tutti i giorni, rischiamo di dimenticare che dietro ai nomi di un database ci sono persone vere. Non “profili”, non “target”. Persone che hanno scelto, per un momento o per un tratto di strada, di stare con noi. E ogni persona ha una motivazione diversa che la spinge a donare. Capirla non è un esercizio di marketing, ma un atto di cura. Significa sapere cosa risuona, cosa tocca, cosa attiva.

Semplificando, va ricordato che ci sono tre grandi famiglie di donatori con tre tipi di relazione, tre linguaggi, tre modi di chiedere. Ovvero:

  1. Chi già ci sostiene. Conosce la causa, la segue, la sente sua. A lui non servono parole nuove: servono conferme. Il messaggio per questi donatori è semplice: “Grazie a te, stiamo continuando. Ecco dove siamo arrivati insieme.”

  2. Chi ci ha sostenuto una volta. È incuriosito, partecipe ma non ancora fidelizzato. Non sa se donerà di nuovo, ma ci osserva. A lui serve vedere che la sua prima scelta non è stata vana. Messaggio: “Il tuo gesto ha avuto un impatto. Ti va di esserci anche quest’anno?”

  3. Chi ancora non ci conosce. È il pubblico potenziale, quello che incrocia i nostri post, legge una newsletter o visita il sito. A lui serve fiducia, concretezza, prossimità. Messaggio: “Ecco cosa facciamo, perché conta, e come anche tu puoi farne parte.”

Motivazioni che muovono

Dietro ogni dono c’è un “perché”. Può essere la gratitudine, la memoria, il senso di appartenenza, la giustizia, la cura, la speranza. Spesso sono più di uno, intrecciati. Conoscere la motivazione dominante aiuta a calibrare il tono.

Ecco qualche esempio utile, da tradurre in pratica comunicativa:

 

 

 

 

Il punto non è costruire slogan, ma riconoscere la risonanza. Sapere che certe parole parlano al cuore di alcune persone e lasciano indifferenti altre. E che ogni messaggio deve essere calibrato sul pubblico reale, non su un destinatario immaginario.

Evitare i cliché

Dicembre è il mese del “dona ora”, dei fiocchi di neve nei banner e delle frasi buone per tutte le stagioni.

Il problema è che, se tutti dicono le stesse cose, nessuno si distingue.

Evitiamo allora le scorciatoie emotive. Frasi come “illumina il Natale di chi soffre” o “porta un sorriso a chi non ne ha più” appartengono a un linguaggio che consola più chi scrive che chi legge. Funzionano per pochi giorni, poi svuotano il messaggio di senso.

La via giusta, ancora una volta, è la concretezza.

  • “Con 20 euro regali una giornata di assistenza.”
  • “Con 50 euro garantisci un laboratorio educativo a un bambino.”

Oppure possiamo pensare a qualcosa di più poetico, ma non banale. Questo, ad esempio, lo slogan che ho pensato per uno dei miei enti proprio in occasione del prossimo Natale:

Quanto può nutrire un gesto semplice? Questo Natale, scegli di condividere ciò che conta davvero: la possibilità per ogni bambino di sedersi a tavola con un sorriso. Tutto comincia da un pasto, tutto comincia con te.

Parole verificabili. Promesse mantenibili. La fiducia nasce da qui.

Diversificare i messaggi

Non è necessario inventare dieci campagne diverse. Basta un’unica idea forte, declinata in più linguaggi.

  • Newsletter per i donatori fedeli: tono di riconoscenza, aggiornamento, prospettiva.

  • Post social per chi segue ma non ha mai donato: tono leggero, curioso, partecipativo.

  • DEM o landing per nuovi contatti: tono diretto, orientato all’impatto, rassicurante.

Lo scopo è costruire una coerenza narrativa che attraversi tutti i canali. Ogni messaggio deve rimandare alla stessa promessa: credibile, concreta, riconoscibile.

Donatori diversi, stessa fiducia

In fondo, le differenze tra i pubblici non devono farci perdere di vista l’essenziale: il dono è sempre un atto di fiducia. E la fiducia si costruisce con continuità, non con urgenza.

A Natale, più che mai, le persone non cercano solo dove donare, ma a chi affidarsi. Cercano chiarezza, trasparenza, misura. Cercano un linguaggio che rispetti, non che manipoli.

Ecco perché comunicare bene è una forma di cura: cura del messaggio, delle parole, dei destinatari. Cura di quella relazione che rende il fundraising qualcosa di più di una raccolta fondi: un patto di fiducia reciproca.

La prossima settimana entreremo nel vivo della richiesta: quando e come chiedere davvero, come preparare il momento giusto e gestire il passaggio dal racconto all’azione. Perché, anche qui, il tempo e il tono fanno la differenza.

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