Occorre promuovere una cultura dei lasciti che ne enfatizzi il ruolo di continuità tra presente e futuro.
Racconta così Simona Biancu, entrando in verticale su un argomento su cui le organizzazioni dovrebbero impegnarsi a prestare maggiore attenzione, al di là delle loro dimensioni e delle implicazioni morali che il tema porta con sé. La motivazione è semplice:
i lasciti testamentari sono un’opportunità che segna l’indissolubilità del legame, vero e sincero, tra un donatore affezionato e un ente nonprofit.
Professionista e profonda conoscitrice della materia, l’autrice ci accompagna in un percorso che mira a definire le premesse per riflettere sul tema, oltre tabù e pregiudizi; un percorso che si completa con il modulo formativo organizzato per il prossimo 13 aprile dalla Fundraising Academy e di cui Simona è docente.
Buona lettura.
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Parlare di lasciti è spesso considerato un argomento tabù. Almeno per due ordini di motivi: culturale il primo, di dimensioni il secondo.
Provo a partire da un assunto di base che ho maturato negli anni di lavoro sullo strumento:
il tabù, la cultura, le dimensioni, spesso sono affermazioni “di principio” che le organizzazioni nonprofit usano per non cimentarsi con uno strumento complesso che richiede certe caratteristiche ma che, allo stesso tempo, è in grado di rafforzare al massimo la relazione di fiducia con il donatore.
E che, proprio per questo motivo, non dovrebbe essere considerato come qualcosa “a parte” rispetto alla strategia di fundraising, ma parte integrante della stessa.
Proviamo a capire meglio: nella nostra cultura il lascito è considerato un tema sensibile, molto delicato da affrontare. Innanzitutto perché il contesto italiano è caratterizzato da un forte orientamento – maggiore rispetto a quanto accade in altri Paesi – a favore del diritto di famiglia come cardine della giurisprudenza e dell’organizzazione sociale italiana.
La famiglia, nel nostro Paese, è protetta in maniera specifica dalle norme di diritto successorio, e questo rispecchia, naturalmente, la considerazione della quale gode dal punto di vista socio-culturale.
Non a caso una delle domande più frequenti quando si conduce una campagna lasciti attiene proprio al rispetto dei diritti dei familiari/eredi nel caso in cui il testatore voglia disporre un lascito a favore di un ente nonprofit.
Diritti dei familiari/eredi che sono sempre, e sottolineo sempre, rispettati, anche in presenza di un lascito a favore di una organizzazione nonprofit e che non entrano, dunque, in “concorrenza” con essa.
Un altro fraintendimento che spesso viene ad evidenza è legato alle dimensioni dell’organizzazione nonprofit. Mi è accaduto spesso di sentirmi muovere l’obiezione per cui “i lasciti sono per le grandi organizzazioni”.
Nulla di più sbagliato. Certo, non sono per tutti nella misura in cui richiedono una relazione consolidata con i donatori, una reputazione positiva “sul campo”, uno staff preparato sia sulla parte giuridica che su quella più specificatamente legata al fundraising, e molte altre cose. Ma – per usare un’espressione che renda bene l’idea – “si può fare”.
Secondo l’ultima indagine realizzata tra le Organizzazioni che hanno aderito al Comitato Testamento Solidale (nato nel 2013, raggruppa alcune tra le maggiori organizzazioni nonprofit del nostro Paese impegnate per diffondere la cultura dei lasciti),
dal 2012 ad oggi, è cresciuta la consapevolezza dell’importanza di destinare parte dei propri beni ad una organizzazione nonprofit con un lascito solidale.
Il tasso di crescita dell’ultimo quinquennio è pari al 10%… si può fare di meglio, ma è comunque un dato di partenza.
E quindi?
E quindi sui lasciti è bene lavorarci, sul serio. E per farlo occorrono due elementi fondamentali, per partire:
- la volontà. Può sembrare una cosa ovvia, ma così non è. Perché lavorare sui lasciti, come scrivevo più sopra, è complesso e comporta una valutazione a monte di obiettivi, strategia, analisi di fattibilità, budget, professionalizzazione dello staff, lavoro costante su uno strumento che non produrrà effetti nell’immediato – perlomeno, in genere non è così – ma richiede un lavoro oggi per assicurare la sostenibilità domani.
- la strategia e la pianificazione. Questi due concetti, che sono tra i “fondamentali del fundraising”, valgono anche per i lasciti. Perché progettare una campagna lasciti non significa ricordarsi ogni tanto di inserire una news di tre righe all’interno di una newsletter, ma, in maniera molto più profonda e approfondita, studiare e mettere a punto un lavoro di cura della mission della propria organizzazione che passa anche dalla cura dei donatori. Ovvero da un rapporto consolidato, trasparente, basato sulla fiducia.
Si possono mettere a punto campagne lasciti a più livelli, con gradi crescenti di complessità e investimento anche economico. Ma, prima di tutto, è necessario investire culturalmente sulle potenzialità dello strumento dei lasciti per il futuro delle organizzazioni nonprofit.
Occorre promuovere una cultura dei lasciti che ne enfatizzi il ruolo di continuità tra presente e futuro, che metta al centro i donatori come promotori di un investimento sociale (culturale, ambientale e così via) che va nella direzione del miglioramento, attraverso l’organizzazione nonprofit a cui viene destinato un lascito, della comunità tutta.
D’altronde, non è questo il fine stesso del fundraising?
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Guest post. Txs to Simona Biancu. Simona è consulente e formatrice sui temi del fundraising e della filantropia strategica con la società di cui è fondatrice, ENGAGEDin. Specializzata al Master in fundraising dell’Università di Bologna e Executive in Strategic Philanthropy presso Fondazione Lang, collabora da anni con organizzazioni nonprofit, Università, scuole, istituzioni sanitarie e culturali, in Italia e all’estero. È socia di ASSIF – Associazione italiana fundraiser e dell’Institute of Fundraising (UK), associazione professionale internazionale. È membro dell’International Advisory Panel di Rogare, Centro internazionale di Ricerca sul fundraising e la filantropia con sede all’Università di Plymouth (UK).