Non è più tempo di approssimazioni. Dice bene Anna Fabbricotti in questo post dedicato alla responsabilità sociale di impresa che va sempre più affermandosi anche nella piccola-media impresa italiana. Anna è docente di Startup Fundraising, il corso intensivo alla raccolta fondi integrata al via a fine settembre. Buona lettura
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È un dato di fatto. Complice una crisi pluridecennale economica, sociale, ma anche ambientale, che ha cambiato gli scenari mondiali, e le nostre abitudini, il mondo delle imprese e della economia sta cambiando pelle. Il comparto delle società cosiddette “Benefit” (dove cioè il profitto va di pari passo con la positività del proprio impatto sulla comunità e sull’ambiente) è cresciuto in maniera esponenziale, negli ultimi due anni e moltissime piccole e medie aziende italiane stanno o hanno già aperto uffici e ruoli di CSR (la responsabilità sociale d’impresa), con attenzione anche al territorio dove operano; e molte hanno già avviato buone pratiche e partnership con istituzioni e organizzazioni non profit a diversi livelli.
A livello globale, proprio in questi ultimi giorni di agosto, negli USA, 181 super big manager, riuniti nella “Business roundtable”, hanno dichiarato di essere pronti a rinunciare a qualche margine di profitto e persino a tagliare le loro colossali retribuzioni per sostenere progetti di sviluppo sociale e di tutela dell’ambiente; e a Parigi, 32 gruppi del lusso hanno firmato il “Fashion Pact” per ridurre l’impatto ambientale e sostenere le proprie comunità.
Sono solo gesti di facciata? Certo, in un certo senso sì.
I grandi movimenti di protesta nati dal basso, la continua attenzione dei media, la sensibilità civica collettiva e diffusa, le masse che spingono, anche contro politiche e governi, sono campanelli d’allarme per i grandi guru del marketing, sempre attenti a cavalcare l’onda.
Essere socialmente impegnato e green, insomma, oggi è cool…
Fa sorridere, sono d’accordo. Ed è solo un primo passo, la strada è lunga. Ma il mondo sta cambiando e quel ponte di cui parlavo tempo fa, tra profit e non profit, ora ha dei bei piloni, da cui partire, non credete? Aggiungiamo poi un dato incontrovertibile: in buona parte, questo cambiamento è merito delle campagne, degli eventi e dei progetti che il non profit ha continuato a promuovere, e, più in generale, dell’inequivocabile contributo che il Terzo Settore, nel suo complesso, ha dato, in questi anni, quale generatore ed esempio di buone pratiche, e, spesso, unico supporto e presidio delle aree di maggior crisi del welfare. Siamo parte fondante, di questo cambiamento.
Dobbiamo partire da qui. È vero che l’atteggiamento delle imprese è spesso di sufficienza, nei confronti delle organizzazioni non profit, ma molto dipende da noi. Oggi abbiamo l’opportunità di un dialogo, e non è poco. Le aziende vogliono partecipare allo sviluppo del territorio? Noi abbiamo la possibilità di mostrargli come si fa, come si opera sul territorio, come si ottengono risultati reali, e proporgli di farlo insieme. In partnership. Però, dobbiamo superare i nostri pregiudizi, e dobbiamo imparare ad essere capaci, coerenti, convincenti e trasparenti, soprattutto trasparenti. E professionali, con competenza, senza perdere la nostra anima. Non è più tempo di approssimazioni. Un buon progetto, con un budget chiaro, modelli efficaci di monitoraggio e controllo, una buona dose di innovazione e creatività, una bella presentazione, ci permettono di sedere ad un tavolo di trattativa; ci avvicinano, su quel ponte, tra profit e non profit, che la crisi globale spinge a costruire.
Ecco perché serve prepararsi, formarsi, conoscere. Questa nuova sfida del millennio, attraversato da crisi globali, instabilità sociale ed emergenze climatiche, ci chiede di essere pronti e di costruire quel ponte, di contribuire a coinvolgere le imprese nelle nostre community.
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Le iscrizioni si chiudono il 15 settembre: