Ce lo racconta Pierluigi Rizzini, Ceo di Socialidarity, associazione nata sul web con lo scopo di accompagnare chi è alla ricerca di un lavoro nel sociale e a cui ho chiesto di raccontarci un po’ da cosa nasce e come si sviluppa l’interesse per il Terzo Settore da parte di un manager occupato nel profit.
«Sono tempi di crisi profonda, non solo economica ma anche, e soprattutto, di crisi strutturale dovuta alla perdita di valori». Comincia così Rizzini nel rispondere alla mia sollecitazione su quale sia il suo pensiero rispetto alla condizione attuale del lavoro nel sociale. «A Socialidarity – continua – tutto ciò appare evidente. Sono sempre più le persone che contattano l’associazione perché alla ricerca di un lavoro più significativo e di un nuovo progetto di vita».
E’ diffusa la percezione che siamo in un momento in cui è necessario utlizzare qualità personali e competenze professionali non solo a favore della propria attività ma, e soprattutto, a servizio del bene collettivo. Sono tempi che sollecitano un diverso orientamento al lavoro. Un riallineamento con obiettivi comuni. Un nuovo patto sociale. «In questo cambio di rotta – continua Rizzini -, i molti manager che stanno pensando a come sia possibile fare qualcosa di diverso, per quanto esperti e competenti mancano delle informazioni, la capacità e la visione corretta per passare da un approccio business a uno social oriented. Benché sia già presente in queste persone la ricerca di valori più etici, il primo indispensabile passo è chiarirsi bene le idee, mettendo a fuoco gli obiettivi per dare corpo alle proprie aspirazioni».
In questo percorso, il network di Socialidarity può essere il partner ideale per accompagnare il manager nella ricerca del suo nuovo percorso professionale. «Ora più che mai è necessario sviluppare tutte le possibili forme di network, di interazione e di mutuo aiuto che specialmente il web è in grado di ampliare ed espandere – conclude Rizzini -. Per potere pianificare una svolta di vita così importante è necessario farsi aiutare con uno specifico percorso di orientamento e autoformazione, altrimenti si corre il rischio di sbagliare da subito completamente strada».
Personalmente, individuo due approcci, tra di loro complementari e co-esistenti:
- gli obiettivi sono sacrosanti e del tutto condivisibili. Però questo bisogno è necessario che sia accompagnato da una realistica consapevolezza delle dinamiche che muovono il Terzo Settore, comprese le difficoltà in cui versa e l’evidente differenza retributiva a parità di ruolo, escluso qualche caso eccellente. Per cambiare sono necessari qualche compromesso e qualche disillusione. Il percorso non è affatto semplice, né tantomeno roseo. Il risveglio potrebbe anche essere amaro o, per lo meno, dissimile da quello a lungo immaginato. Meglio essere preparati.
- L’accesso di competenze dal profit porta con sé un diverso approccio al lavoro, alzando l’asticella del livello di pretesa da due punti di vista, quello delle performance e quello del trattamento retributivo. Questo fa sì che si metta in moto un meccanismo virtuoso che nel lungo periodo non può che fare bene al Settore e al Mercato in genere. Banalmente, maggiore specializzazione significa miglioramento dei servizi e aumento dell’offerta verso profili diversi. Questo genera la nascita di bisogni diversi e una nuova domanda. Una nuova domanda mette in modo l’offerta e la concorrenza che a sua volta si propone in modo sempre più specializzato. E così via. Per rispondere in modo esaustivo alle sollecitazioni del Mercato, il nonprofit deve evidentemente specializzarsi e migliorarsi.
Nella settimana del compimento del mio ventesimo anno nel mondo del lavoro, ho pensato a questo post che spero aiuti, dia gli strumenti di analisi e trasmetta fiducia a tutte quelle persone che vogliono arricchire il parterre del sociale. Vi lascio con un pensiero: nel lungo periodo, vedo molto positivo l’ingresso di alti profili dal profit. E’ certo che qualcuno pagherà lo scotto del cambiamento, ma questo a beneficio del futuro del nostro Settore e degli occupati di domani. In fondo, ogni guerra ha le sue vittime. Non credete?