
Chi segue le mie aule o ha letto i miei libri sa bene quanto io insista sul concetto di clusterizzare: ragionare sulla suddivisione in gruppi, per personalizzare la comunicazione e l’ingaggio. È un principio che applico da sempre e che ritengo centrale in ogni strategia di fundraising.
Tra i cluster più interessanti e delicati, ci sono senza dubbio le ultime generazioni. Se ne parla molto, spesso in maniera superficiale. Io stessa, nel 2020, nel libro Raccolta fondi, avevo già accennato alla Generazione Alpha, forse un po’ in anticipo sui tempi. Ma oggi non possiamo più rimandare la riflessione: i giovanissimi – fine Gen Z e primi Alpha – sono già qui, e da come li sapremo coinvolgere dipenderà il futuro del dono.
Non sono una sociologa, mi occupo di comunicazione. Quello che segue non vuole così essere un trattato esaustivo, ma un perimetro utile, fatto di osservazioni, esperienze e, spero, buon senso. Perché la questione, anche se riguarda generazioni ancora non donanti in senso economico, va affrontata ora: solo così il domani sarà meno complicato.
Generazioni in transizione: adolescenti Z e Alpha
Quando parliamo di nuove generazioni dobbiamo distinguere.
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La Generazione Z (i nati tra fine anni ’90 e 2010) comprende oggi anche giovani adulti, ma qui ci interessa la parte più giovane: gli adolescenti, ancora in formazione, sospesi tra studio e prime esperienze civiche.
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La Generazione Alpha (nati dal 2010 in poi) è ancora più giovane, troppo per un dono economico, ma già immersa in contesti digitali e globali che ne plasmano visione e linguaggi.
Due segmenti diversi, entrambi minorenni o quasi, ma già oggi cittadini in formazione. Non hanno ancora autonomia economica, ma vivono in un mondo che li spinge a prendere posizione: crisi ambientali, conflitti, disuguaglianze, diritti.
Educare al dono, non imporlo
Il punto è questo: non si tratta di chiedere soldi a chi non può darli. Si tratta di educare al dono come cultura, come approccio al mondo.
Un approccio che non deve uniformare, ma sviluppare cittadinanza consapevole. Non cittadini globali che pensano tutti nello stesso modo, ma persone capaci di esercitare pensiero critico, di abitare le differenze, di dialogare con ciò che è altro da sé.
La ricchezza, lo sappiamo, non sta nell’omologazione, ma nella pluralità.
Il fundraising come palestra di partecipazione
Guardato da questo punto di vista, il fundraising non è solo raccolta economica. È costruzione di legami. È palestra di partecipazione civica.
Anche chi non può donare denaro può infatti donare altro:
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Tempo, con volontariato, servizio civile, attivismo.
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Competenze, dai talenti creativi alle skill digitali.
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Voce, attraverso advocacy, contenuti, sensibilizzazione.
Queste forme di dono, spesso sottovalutate, sono le prime vere esperienze di appartenenza. E rappresentano il terreno fertile da cui nasceranno, domani, donatori maturi e consapevoli.
Fiducia, non slogan
Troppo spesso, di fronte ai giovani, si cade nella semplificazione: “non donano”, “non hanno interesse”, “sono distratti”.
La verità è che i giovani non sono disinteressati. Sono esigenti. E meno ingenui delle generazioni precedenti. La loro fiducia non si compra con uno slogan, né con una campagna patinata.
Si conquista con coerenza, con storie che non spettacolarizzano il dolore ma mostrano possibilità di cambiamento. Con la trasparenza, che oggi non è un plus ma una condizione minima.
La complessità come sfida
Eccoci al nodo. Fare fundraising con queste generazioni significa accettare la complessità. Non scorciatoie, non scorciature di percorso.
Tre sono i punti critici:
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Tempo – i cicli si allungano. Oggi semini, ma raccoglierai tra anni.
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Linguaggio – serve chiarezza, ma anche codici capaci di risuonare nei loro mondi digitali, fluidi, partecipativi.
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Prospettiva – non è solo questione di soldi. È costruzione di comunità, appartenenza, fiducia.
Per sintetizzare:
- La Generazione Z e la Generazione Alpha ci chiedono ciò che, in fondo, è il cuore del fundraising: pensiero critico e relazioni vere.
- Il loro dono, oggi, è fatto di tempo, idee, energia. Domani sarà anche economico, ma solo se avranno imparato lungo la strada che donare significa fidarsi e assumersi responsabilità.
- Il fundraising non è mai stato semplice. Con loro diventa ancora più sfidante. Ma non affrontarlo oggi significherebbe trovarci domani senza basi solide.
La prossima settimana parleremo di tecniche e strumenti, perché senza operatività queste riflessioni rischiano di restare astratte. Ma prima di fare, serve pensare. Ed è esattamente questo il compito che ci spetta adesso.
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