
Ogni tanto, prendersi una pausa serve. Serve a guardare le cose da una certa distanza, a lasciar decantare. Ma poi si torna, e si torna con la voglia di rimettere al centro ciò che conta davvero. E oggi, ciò che desidero riportare al centro è proprio il fundraising.
Perché? Perché, nonostante sia ormai chiaro che il fundraising rappresenti una delle leve strategiche fondamentali per la sostenibilità del non profit, ancora non è vissuto come tale da buona parte delle organizzazioni. E la mia sensazione — che è anche esperienza diretta, maturata in aula, nei percorsi di formazione — è che questo ritardo culturale continui a rallentare la crescita reale degli enti.
La cenerentola del non profit
Quando si parla di fundraising, lo si fa spesso come se fosse un comparto tecnico, quasi un’area accessoria: utile, certo, ma non prioritaria. Una funzione da attivare “quando serve”, magari in caso di necessità o emergenza. Una risorsa da richiamare in extremis, quando i fondi scarseggiano.
Eppure, chi si occupa davvero di strategia sa bene che senza risorse non si fa progettazione, non si fa impatto, non si cresce. Come recita un detto popolare, che uso spesso anche in aula: senza soldi non si cantano messe. E il fundraising, oggi, non è più una raccolta occasionale, ma una delle vie maestre per garantire sostenibilità nel tempo.
Il fundraising è strategia
Pensare che il fundraising sia solo il “fare eventi”, scrivere un bando, o mandare una lettera ai donatori è una visione riduttiva e sorpassata. Il fundraising è marketing, è comunicazione, è progettazione, è coinvolgimento. È narrazione di senso. È cultura organizzativa.
Significa:
- costruire una relazione tra l’ente e i suoi stakeholder;
- rendere visibile il valore che si genera per la comunità;
- rendere partecipabili le azioni promosse;
- alimentare fiducia, consenso, senso di appartenenza.
Il fundraising è parte integrante del piano strategico. Eppure, troppo spesso, non è nemmeno inserito nei documenti di programmazione.
Un problema culturale (prima ancora che tecnico)
Ciò che manca, molte volte, non è la competenza tecnica, ma l’intenzione strategica. Il fundraising continua a essere percepito come un costo anziché come un investimento. E non c’è investimento che tenga se prima non si è compreso davvero perché farlo.
Allora ci si affida solo all’istituzionale, ai bandi pubblici, ai finanziamenti una tantum. Va bene, è una parte del quadro. Ma non basta più. Non nel tempo dell’incertezza, della complessità, del bisogno crescente.
Una leva che abilita il cambiamento
Il fundraising, a ben vedere, non è mai solo per soldi. È un modo per generare partecipazione, per attrarre alleanze, per stabilire un rapporto di fiducia con il territorio. E in molti casi, è proprio l’azione di fundraising che costringe l’organizzazione a fare chiarezza su chi è, su cosa fa, su quali valori la muovono. Una straordinaria occasione per riordinare idee, strumenti e scopi.
Un ente che investe davvero nel fundraising:
- progetta in modo più sostenibile;
- comunica meglio;
- valorizza i propri risultati;
- costruisce alleanze più solide.
In sintesi: si struttura meglio.
Qualche domanda (scomoda ma utile)
- La tua organizzazione ha una strategia di fundraising scritta?
- Chi se ne occupa ha un ruolo riconosciuto, oppure è un compito residuale?
- Il fundraising è considerato un investimento o un costo?
- I dati raccolti sui donatori vengono analizzati e usati strategicamente?
- Le attività di comunicazione servono anche a rafforzare il fundraising?
È lì, tra visione, metodo e relazioni, che si costruisce la sostenibilità del domani. Il fundraising non è la soluzione a tutto, ma è parte fondamentale del disegno. E il disegno strategico è ciò che distingue una buona idea da un cambiamento reale.