Entro l’anno, a quanto pare, c’è la volontà di far approvare la riforma del Terzo Settore. Questo, almeno, stando alle parole del sottosegretario Luigi Bobba espresse al Meeting di Rimini e riprese da Gabriella Meroni su Vita.it di venerdì 29 agosto.
Quelli che seguono, in sintesi, i sette punti all’ordine del giorno su cui il Governo sta lavorando e che fanno riferimento al DDLD-riforma-III-settore presentato lo scorso 6 agosto:
- attuazione del principio di sussidiarietà, che porta con sé legittimazione e facilitazione del libero associazionismo;
- sburocratizzazione delle procedure per l’ottenimento della personalità giuridica;
- istituzione di un registro nazionale unico che raccolga tutti gli elenchi nonprofit ora esistenti e che sono circa 200;
- la costituzione di un’Agenzia di “Missione” che avochi a sé gli obiettivi della fu Agenzia per le Onlus;
- l’uniformità normativa sia in materia civilistica che fiscale;
- la riforma sull’impresa sociale, con una particolare attenzione a quelle di carattere innovativo;
- il servizio civile universale da rendere totalmente accessibile a partire dal 2017.
Aspetti positivi e negativi sono stati ben espressi da Carlo Mazzini, post di cui suggerisco la lettura nel caso ve lo foste perso e che condivido in pieno. Comprensibile, direi.
Su Vita di agosto, alcune firme note del Terzo settore scrivono la propria a proposito della Riforma in cantiere.
Il mensile si chiede, in primis, se il nonprofit sia pronto e consapevole di quali sono le sfide
e nel chiederselo lo fa soffermandosi proprio sulla parola “consapevole”. Ed è proprio attorno a questa consapevolezza che ruota tutto: protagonismo contro marginalità; attività contro passività. Siamo davvero pronti?
Non saprei ma quel che so è che in tutto questo manca il fundraising.
Paolo Venturi descrive bene la consistenza del nonprofit e l’impatto che ha sulla società:
Rinunciare a dare un’espressività economica al sociale nella sua valenza donativa, di advocacy, erogativa e produttiva, significa togliere un pezzo di valore alla collettività e questo non possiamo permettercelo.
E conclude:
Abbiamo misurato la felicità, la fiducia, la capacitazione, il benessere. Ora è giunto il momento di misurare, ossia di dare peso e valore economico, al sociale generato dal nonprofit.
Bene ma in tutto questo il fundraising ha un ruolo discriminante.
A mio modo di vedere, è l’approccio a fare la differenza tra beneficenza e atto consapevole, tra carità e impresa, tra opportunismo e opportunità.
Nel mio post agostano su La Zanzarella suggerivo come fare, in un modo tanto semplice quanto banale, ciononostante significativo. Mi ripeto:
Lettera B, Comma 1, Art. 6: (…) al fine di promuovere, anche attraverso iniziative di raccolta fondi, i comportamenti donativi delle persone e degli enti (…).
In questo primo post di settembre, lancio un appello ai colleghi: troviamoci e parliamone.
Costituiamo un gruppo di lavoro e lanciamo una call. Ma che sia aperta, ovvero allargata anche agli altri attori del terzo settore, se vorranno, e non ai soli fundraiser. Perché, a ben vedere, quest’azione influirà in modo determinante su tutti i livelli organizzativi. Dopodiché, sottoponiamo i risultati e il nostro invito a Luigi Bobba e, attraverso lui, al Governo Renzi. Non è poi così irraggiungibile, il sottosegretario, o no…?
Da professionisti, alziamo per primi l’asticella e mettiamo in moto il meccanismo della richiesta: un aspetto, questo, che – se non erro – non ci è poi così estraneo.
A preoccuparmi è la fretta con cui si vuole chiudere la partita. Un plauso alla buona volontà ma che non si perdano di vista i contenuti a favore del contenitore. Perché il rischio grosso è che la voglia di fare presto possa giocare a discapito del fare bene.
Non chiamiamoci fuori. La partita è ancora aperta e tutta da giocare. Ci stai?
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