
Ci sono libri che non si leggono soltanto: si attraversano. Perché raccontano un mestiere che è anche una visione, un linguaggio, un modo di stare nel mondo.
Fundraising Index di Raffaele Picilli appartiene a questa categoria.
Più che un manuale, è una lente. Una chiave per capire come e quanto il fundraising non sia soltanto raccolta fondi, ma relazione, fiducia, cultura organizzativa.
Nel video che accompagna la presentazione del volume, questa prospettiva emerge nitida. Non c’è enfasi sul “quanto si raccoglie”, ma sul perché e come si genera fiducia. E in questo, Picilli si inserisce perfettamente nel dibattito attuale del settore: quello che chiede al non profit di evolversi da semplice esecutore di campagne a motore di legami sociali.
1. Il fundraising come specchio delle relazioni
L’idea di un “index” – un indice, un termometro – è potente. Non misura solo l’efficacia economica delle azioni di raccolta, ma soprattutto la qualità del capitale relazionale che un’organizzazione costruisce nel tempo.
In altre parole: il fundraising non è la causa della sostenibilità, ma il suo sintomo.
Se un ente raccoglie fondi, significa che ha saputo dialogare, costruire credibilità, ispirare fiducia.
E questo rimanda a una visione più matura della disciplina: non chiedere per ottenere, ma relazionarsi per condividere.
2. Un linguaggio da riscrivere
Un tema ricorrente nella nostra professione è la necessità di rivedere il linguaggio con cui il non profit comunica.
Non bastano più i claim emotivi, né le parole “calde” di solidarietà usate come chiavi universali. Serve precisione, autenticità, consapevolezza semantica.
Ogni parola scelta deve corrispondere a un’azione, a un valore vissuto, non proclamato.
Il fundraiser, in questa prospettiva, diventa un traduttore: non di bisogni in richieste, ma di relazioni in narrazioni. Rende visibile la connessione tra chi dona e chi agisce, tra causa e comunità, tra gesto e impatto.
In questo senso, la comunicazione è parte integrante del fundraising, non il suo contorno. Se poi distinguiamo linguisticamente il termine fundraising da raccolta fondi, è evidente che non può esistere raccolta fondi senza comunicazione. Mentre si può comunicare anche senza raccogliere fondi.
3. Il fundraising come cultura organizzativa
C’è stato un passaggio, in questo dibattito a due, che emerge più di altri e che sottolineo fortemente: il fundraising non può essere “un reparto”, ma una cultura condivisa. Quando è relegato a funzione tecnica, perde senso. Quando invece attraversa l’intera organizzazione — dalla governance ai volontari, dai progettisti agli amministrativi — diventa il segno distintivo di un ente maturo, consapevole, capace di coinvolgere e valorizzare ogni relazione.
Un Fundraising Index alto, in questo senso, non dipende solo dai risultati economici, ma da quanto un’organizzazione riesce a integrare la logica del dono nelle proprie scelte strategiche.
Il dono, in fondo, è una postura: riconoscere che nulla si costruisce da soli, che ogni progetto è una forma di reciprocità.
4. Dati, fiducia e ascolto
Nel libro e nella discussione emerge con forza l’importanza dei dati. Non per sostituire la sensibilità con gli algoritmi, ma per ancorare la relazione alla realtà: sapere chi sono i donatori, come partecipano, che emozioni li muovono, quanto si sentono parte del progetto, è la base per costruire un rapporto duraturo. Ma il dato da solo non basta: va interpretato, umanizzato, riportato nel contesto di un dialogo vivo.
Il vero indice, allora, non è la percentuale di conversione, ma il livello di fiducia costruita e mantenuta. E questa fiducia non si misura in euro, ma in continuità, in reputazione, in senso di appartenenza.
5. Il fundraising come responsabilità culturale
C’è infine una riflessione che attraversa tutto il confronto, quasi sottotraccia:
il fundraising è, prima di tutto, una responsabilità culturale. Non riguarda solo il non profit, ma l’intera società.
Riguarda le imprese che riscoprono il valore del sostegno attivo, le istituzioni che imparano a co-progettare, i cittadini che scelgono di non restare spettatori.
In questo senso, Fundraising Index diventa quindi una sorta di invito a leggere il dono come atto politico e relazionale, a costruire legami tra chi può e chi ha bisogno, a misurare la ricchezza non in termini di capitale, ma di capitale sociale.
Fundraising index: l’“indice” che ci riguarda tutti
La lezione che mi resta e conferma ancora una volta, ascoltando e rileggendo il lavoro di Raffaele Picilli, è chiara: il fundraising non è un mestiere di richiesta, ma di riconoscimento. Riconoscimento dell’altro, del suo ruolo, del valore della comunità che sostiene.
Fundraising Index diventa così uno strumento non per contare donazioni, ma per capire quanto stiamo costruendo fiducia.
E, in definitiva, quanto stiamo contribuendo — ciascuno nel proprio ambito — a una cultura del dono che è anche cultura del futuro.
Grazie, Raffaele!
- Raffaele Picilli ed Elena Zanella
- Raffaele Picilli, autore
- Elena Zanella, editore
(le foto in questo articolo sono di Carlo Ramerino).
Il video completo dell’incontro qui di seguito è disponibile sul canale ufficiale del Salone della CSR e dell’Innovazione Sociale.






