Caro Massimo,

pur non avendo apprezzato i toni e il modo, avevo deciso di non rispondere in modo pubblico al tuo post sull’Assif, limitandomi a farlo in calce e relativamente all’argomento posto in questione.

Almeno fino a questa mattina. Purtroppo la questione è andata ben oltre il limite accettabile della discussione che un blog, pur nella sua più o meno ampia notorietà, può scaturire, approdando invece e volutamente ai network più disparati e relativi forum di discussione: da facebook, a twitter, ai gruppi su linkedin. A questo punto, mi si imponeva una risposta chiara a tutela della mia professionalità. Io sono di norma una persona moderata o comunque educata nei termini. L’uso del mio nome in modo strumentale, insistente e con i toni emersi non mi è piaciuto affatto. A questo si aggiunga l’arbitrarietà dell’interpretazione su quanto ho scritto. Scrivere non è sufficiente. Prima di tutto occorre rispetto e misura. Non tutto è audience, soprattutto se lo si fa a scapito degli altri. Ci sono luoghi, contesti, pesi e misure. Un post scritto nel modo in cui è stato scritto è del tutto discutibile e non fa onore all’immagine patinata del professore che ho conosciuto sui libri all’università.

Nel mio scritto, non ho deliberatamente discusso dei miei punti di vista sulle decisioni prese dall’assemblea sul futuro della nostra associazione appunto perché, come ho ribadito, l’assemblea è sovrana. Farlo avrebbe significato inoltre mettere in difficoltà il direttivo nella sua interezza e il lavoro che sta facendo. Incluso il mio. Mi sono attenuta a uno solo degli aspetti da considerare e certo non a quello più rilevante. Non mi ripeto oltremodo.

Le persone sanno analizzare da sé i fatti senza bisogno di eccessi e insistenze. E hanno gli strumenti per farlo.

Cari saluti.

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