All’indomani di “Dal Dire al Fare 2012”, si tirano le somme sullo stato dell’arte della responsabilità sociale nel nostro Paese. Crisi e incertezza sono i concetti chiave da cui il dibattito si muove per cercare di prospettare un futuro migliore che, almeno per ora, è ancora lontano da prevedere. Le difficoltà in cui versano i Paesi, non solo in nostro naturalmente, sono evidenti e a tutti indistintamente sono chiesti sforzi importanti.
Vi riporto parte delle riflessioni di Patrizia Rutigliano, attuale presidente di Ferpi:
(…) Va superato il concetto di sostenibilità come pura filantropia o di sostenibilità intesa unicamente, per quanto imprescindibile e importante, come riduzione del rischio per integrarla a processi incardinati sul concetto di Valore Condiviso, un concetto che (…) può rappresentare un’opportunità per sviluppare un modello particolarmente efficace e coerente con il mondo dell’impresa.
Le aziende devono attivarsi per coniugare business e società generando valore economico in modo tale da creare contemporaneamente valore per la società, nel rispondere agli imprescindibili obiettivi dell’impresa possono al tempo stesso e a quelli del territorio nel quale si opera.
Ma come farlo? Chiediamoci quanto c’è all’interno delle nostre imprese in termini di competenze e conoscenze, potenzialmente trasferibili sul territorio, da trasformare in esternalità positive che possono essere un momento di crescita anche per gli ambiti territoriali in cui un’impresa opera. Contesti spesso alle prese con criticità finanziarie e di trasferimento di risorse e di bilanci ai quali è possibile rispondere non semplicemente con erogazioni o contributi di natura filantropica, ma anche con competenze che generino valore condiviso. Alcuni già parlano di passare dalla CSR alla CSI, dalla corporate social responsibility alla corporate social innovation che fa dell’impresa un promotore di innovazione sociale mettendo a disposizione expertise ed asset aziendali.
Agire dunque sui processi core per massimizzare le esternalità positive e attingere al grande bacino di assett, competenze, conoscenze, best practice che l’impresa possiede. Se le aziende guardano dentro se stesse scopriranno questo grande patrimonio che spesso può essere messo a disposizione degli stakeholder con costi marginali ridotti. Nel capitale dell’azienda competenze e formazione sono un patrimonio a valore condiviso che le imprese, soprattutto quelle maggiormente strutturate e che includono il modello di sostenibilità nel loro modello di business, possono far fruttare per la crescita competitiva dei propri stakeholder e del territorio.
La Rutigliano descrive con chiarezza lo stato attuale della CSR e ci indica con risolutezza lo scenario verso il quale le aziende si stanno proiettando. Mi piacciono particolarmente i termini di Valore Condiviso e di Corporate Social Innovation. Nelle sue riflessioni, sottintende ma non esplicita il termine Terzo Settore, destinandolo a un ruolo destinatario e per certi versi passivo nel processo produttivo in atto. Tutto questo è naturalmente giustificato dal fatto di essere donna d’azienda.
Quindi, nel rispondere alla domanda del “come farlo”, mi sentirei di suggerire di considerare il Terzo Settore quale co-protagonista di questo processo, proprio perché espressione dei bisogni reali della società e del territorio in cui si muove.
Quindi, alla luce di quanto emerso, vi chiedo e mi chiedo: noi uomini e donne del Terzo Settore siamo pronti ad avviare dei tavoli di discussione a questo proposito? siamo interlocutori credibili, attendibili e all’altezza dei compiti prospettati? siamo pronti a fare la differenza?
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