Ricevo il racconto del vissuto di una donna di comunicazione e della consapevolezza acquisita grazie all’esperienza del dono. Ve lo posto sul finire della settimana, consapevole che questo tipo di testo differisce dallo stile che è proprio del blog. Il suo punto di vista ci presenta una concezione del dono un po’ più “genuina” rispetto a quella che noi fundraiser siamo abituati a gestire. Un concetto slegato dalle logiche di gestione d’attività e più legato, invece, ai valori arcaici di dare/avere in modo incondizionato: quelli, per intenderci, che hanno a che vedere con la sfera delle emozioni e dell’educazione. Il messaggio che trasmette Cristina, come professionista e – prima di tutto – come genitore,  è molto semplice e passa attraverso concetti quali fiducia, reciprocità, intesa, benessere e bene comune. Mi scrive:

Ho imparato il valore del dono e lo insegno a mia figlia; il mio progetto di genitorialità passa dai, e punta con determinazione ai, valori della responsabilità sociale.

Eccolo. So di lasciarlo in buone mani. Buona lettura.

“Andavo in giro mostrando con assoluto e certo orgoglio il mio cambiamento. Cresceva e cercavo modi per controllare le variazioni sul mio corpo e sul mio pensiero. Peccato, era lenta questa crescita ma avevo imparato ad aspettare, avevo dovuto farlo e imparare alla svelta. Sì, quando si ha il coraggio di fare una tale richiesta poi il minimo che si possa fare è ridimensionare, elasticizzandole, le proprie capacità alla frustrazione. Il fatto nuovo, la nuova dimensione, lo spazio fisico e mentale che mi si stava creando, spingendo e creando nuove dimensioni, mi restituiva, sulle superfici riflettenti in cui capitavo camminando, un profilo più ampio, che tirava una linea, che mi stava modificando. Il cambiamento prendeva forma e io lo avvertivo.

La richiesta del dono prese forma nel momento in cui la mancanza aveva superato la soglia di sopportazione, l’esigenza spingeva, il vuoto emetteva suoni gravi. Quando la necessità di ricevere superò la linea oltre la quale, per cultura e abitudine, si sa che non si deve andare e chiedere, fortunatamente la consapevolezza delle proprie risorse e limiti mi aiutò ad osare.

Non avevo. Osai. Chiesi e mi venne dato.

Da una tale esperienza non si esce indenni. Se ne esce cambiati. Io ne sono uscita con una consapevolezza dilatata verso la bellezza e stupore per la potenza del dono e della sua magia. Io come dono e io che ricevo a mia volta: un’esperienza che riempie a tal punto che la necessità di dare, di contraccambiare, di starci dentro, di ripetere a tam tam, entra a far parte del pensiero, dello stile di vita, del modo di vedere il mondo e gli altri.

Cambia il filtro con il quale si vede il mondo, mondo nel quale, sì, proprio lì dentro, scopri che ci sono gli altri, nella loro molteplice, affascinante e struggente diversità, necessità, condizione. Il dono mostra, fa vedere e fa sentire. Un dono produce una così grande felicità che ha il potere di segnarti, di lasciare un’impronta dentro, quasi come l’effetto reso dal potere di un grande dolore, da un nero lutto, che può offuscare la luce dentro.

Una grande felicità, all’opposto, abbaglia e a volte fa male anch’essa nella misura in cui stordisce, ottunde i sensi non abituati, che vengono improvvisamente ripuliti dai sedimenti di una vita che ci si è seduta sopra, schiacciando e appesantendo il tutto.

A mia figlia, ora che una prima importante fase è stata raggiunta, sto iniziando a far riconoscere le sue emozioni riguardo alla consapevolezza che lei, noi, e lei con noi, suoi nuovi genitori, abbiamo avuto il vantaggio, la grande opportunità del ricevere e del donare.

Non a tutti capita, ma noi nulla in più di altri, ci siamo solo trovati allineati sull’asse temporale di un destino allora favorevole. E posizionati casualmente geograficamente lì, in quel momento. Nessun merito, quindi. Nel nostro dono non solo abbiamo trovato la nostra seconda opportunità di vita ma la nostra opportunità di bene, di esempio, di testimonianza, di crescita, di scommessa. La nostra seconda occasione di capire e di sentire che il nostro momento era un momento per l’altro, non finiva con noi ma si completava con la felicità condivisa, per un cambio verso il bene.

La capacità di riconoscere nel profondo un’opportunità ricevuta è un percorso che abbiamo inserito nel nostro progetto di adulti e di responsabilità genitoriale, ovvero, il mio bene inizia quando il bene è in relazione con l’altro e per l’altro, condiviso, collettivo, quanto passa per la felicità altrui: la solidarietà è una stanza che abbiamo disegnato e inserito nella nostra abitazione, un luogo da riconoscere come parte della nostra esistenza, un ripiano da fissare alla parete portante della nostra vita, del nostro diventare adulti, del nostro crescere nella potenziale direzione di persone complete. E questo si può, sentiamo che lo si può fare e capire sin da piccoli, da bambini.

Utilizzare la propria esperienza e il proprio vissuto, conoscerlo o riconoscerlo, e trasformarlo prima in consapevolezza e poi in un valore attivo in cui esprimersi e in cui trovare quotidianamente dei significati è un obiettivo motivante in cui tutti possiamo sentirci coinvolti, e che ci aiuta a non esimerci dal coinvolgimento sociale per il diritto di tutti al bene e al bello.

Le distanze tra noi e gli altri in realtà non esistono, i bisogni e le pretese dell’uomo sono gli stessi a ogni latitudine e il fatto di vivere, lavorare, crescere in un contesto non ci sottrae dal sentirci coinvolti, sia io adulto che bambino, come donatori di oggi e di domani.

Sono contenta di poter consegnare in un contesto come il nonprofit il mio sentire. È un ambito in cui riesco ad esprimermi utilizzando sia competenze che emozioni e questo mi fa stare bene. Dai commenti troverò modo di confrontarmi e spunti di approfondimento.

A presto, Cristina”.

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GUEST POST. Thank to:

Cristina Preti, vive a Novara e lavora a Milano, si occupa di comunicazione corporate. Ha avuto l’opportunità e la fortuna di percorrere il cammino della genitorialità adottiva vivendolo con intensità e stupore, guidata da emozioni. Sta seguendo con passione il mondo del nonprofit attraverso la comunicazione via social media, strumenti in cui molto crede e in cui molto sta investendo in termini di studio e applicazione e relazione. Seguila su Twitter: @Icri4

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