
Continua il nostro percorso settimanale Verso il Natale, pensato per accompagnare i piccoli e medi enti nonprofit nel costruire, passo dopo passo, una campagna natalizia sostenibile e consapevole. Dopo aver parlato di pianificazione e metodo, oggi ci concentriamo su uno degli strumenti più potenti del fundraising: le storie.
Perché una buona storia non nasce per far piangere. Nasce per far capire. Per far sentire vicino. Per lasciare una traccia.
Nel fundraising, il racconto è il ponte tra chi agisce e chi decide di sostenere. Se quel ponte è fragile, la relazione non si costruisce. Se è solido, porta lontano. Non serve esagerare. Serve misura. Serve rispetto. Serve un linguaggio che avvicini senza spettacolarizzare il dolore.
L’obiettivo non è “smuovere la pancia”. È attivare la testa e il cuore nella stessa direzione.
Serve misura. Serve rispetto. Serve un linguaggio che avvicini senza spettacolarizzare il dolore. L’obiettivo non è “smuovere la pancia”. È attivare la testa e il cuore nella stessa direzione. Perché l’obiettivo deve essere uno: creare costanza e, se possibile, ricorrenza.
Ecco allora una checklist, che spero utile, per creare contenuti il più possibile efficaci e alla quale cerco di attenermi solitamente.
Struttura: semplice, chiara, orientata all’azione
Una storia funziona quando regge in tre passaggi.
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Apertura che mette a fuoco. Una persona, un luogo, un momento preciso. Poche righe per far entrare chi legge in scena.
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Passaggio che spiega il perché (reason why). Qual è il problema? Perché è rilevante? Come impatta sulla comunità? Qui entrano contesto, dati essenziali, ruolo dell’organizzazione. Con misura. Senza gergo.
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Chiusura che apre alla possibilità (promise). Non il colpo di teatro. La possibilità concreta: cosa stiamo facendo e cosa puoi fare tu. Una call to action pulita. Una promessa mantenibile. Un invito alla partecipazione, non un ricatto emotivo.
Tono: vicino, sobrio, schietto
L’emozione serve. Il pietismo no. Qualche principio semplice:
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Parla con, non a. Seconda persona singolare, registro conversazionale, niente prediche.
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Schiettezza prima degli aggettivi. Verbi attivi, frasi brevi, parole comuni.
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Dignità sempre. Le persone non sono “casi umani”. Sono soggetti, non oggetti del racconto.
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Mostra la forza insieme alla fragilità. La ferita c’è, ma c’è anche la risposta: resistenza, reagenza, competenza, comunità.
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Promesse sobrie. Mai “salverai il mondo”. Sempre “ecco cosa cambierà grazie anche a te”.
Linguaggio: emotivo sì, melodrammatico no
Evita le scorciatoie: colpa, shock, immagini estreme. A breve termine possono incidere. A lungo termine erodono fiducia e reputazione.
Scegli invece un’emozione calda e composta: cura, responsabilità, possibilità. La domanda guida resta una: perché questa storia dovrebbe riguardare anche me, qui e ora?
Mini–toolkit pratico: scheda “Scegli la storia”
Usala prima di scrivere.
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Pertinenza: parla davvero della nostra missione natalizia?
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Concretezza: c’è un volto, un luogo, un fatto verificabile?
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Rappresentatività: è un caso-limite o racconta un bisogno ricorrente?
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Licenze e tutele: ho consenso informato e modalità di anonimizzazione quando serve?
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Possibilità: la storia permette di mostrare cosa si può fare adesso?
Se rispondi “no” a una di queste voci, fermati. Scegli un’altra storia o integra gli elementi mancanti.
Valutazione del tono pre tasto invio o pre pubblicazione
Leggi ad alta voce. Poi verifica:
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Chiarezza: capisco in 10 secondi chi, cosa, perché?
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Misura: ho evitato termini sensazionalistici o paternalistici?
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Dignità: la persona è rispettata, nominata correttamente, mai infantilizzata?
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Prova sociale: ho inserito un dato essenziale o un risultato concreto?
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Invito: la chiamata all’azione è specifica, realistica, coerente con il racconto?
Se esiti su due o più voci, asciuga. Togli, non aggiungere.
Due errori frequenti (da evitare)
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La storia senza contesto. Emozione alta, comprensione bassa. Chi legge non sa cosa fare.
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Il contesto senza storia. Dati perfetti, zero coinvolgimento. Nessuno si riconosce, nessuno si muove.
Cerca l’incastro: storia che apre, contesto che spiega, invito che orienta.
Un ultimo consiglio di metodo
Scrivi una versione lunga per il blog (nel caso l’aveste) o la newsletter. Poi ricava tre tagli brevi per i social. Mantieni coerenza di tono, varia l’angolo: una volta il volto, una volta il “dietro le quinte”, una volta il risultato parziale. Non ripetere lo stesso testo. Lavora per episodi.
Il racconto non è un vezzo. È una forma di cura. Prendersi cura delle parole significa prendersi cura delle persone e della fiducia che ci affidano. Una storia ben costruita non “strappa” una donazione: apre una relazione.
La prossima settimana trasformiamo queste storie in asset pronti: newsletter, post, landing essenziali, con esempi e copioni riutilizzabili. Perché una buona storia, da sola, non basta: serve portarla lontano, con metodo.