Navigando qua e là per la rete, mi sono imbattuta in un interessante articolo di Emily Davis dal titolo NONPROFIT ARE BUSINESSES, NOT LEMONADE STANDS. La Davis esprime molto chiaramente il suo pensiero riguardo a cosa sia e cosa non sia il terzo settore. E’ un concetto che condivido totalmente e, ad essere sincera, mi conforta pensare che sia un approccio mentale che non riguarda solo noi italiani ma che sia sentito, nonostante tutto, anche Oltreoceano.
In un mio commento al post precedente (Chi guadagna a provvigioni è un fundraiser. O no… (?)), facevo riferimento al concetto di impresa per il nonprofit. Molto semplicemente, ritengo che una organizzazione nonprofit sia un’impresa e, come tale, debba essere gestita, al di là dell’oggetto sociale per cui è nata.
Durante i miei incontri formativi, in fase iniziale mi soffermo sempre sul concetto di nonprofit. Cerco di capire qual è l’interpretazione che se ne dà e come è comunemente vissuta: sembra una domanda semplice e la risposta appare scontata. Ma non lo è. Ed è proprio da una distorsione interpretativa che nascono, a mio modo di vedere, fraintendimenti culturali che non permettono al settore di fare il salto di qualità per emergere e staccarsi dalla visione comune arenata al termine di ‘beneficenza’.
A domanda ‘Cosa significa nonprofit?’, le risposte più comuni sono: nessun profitto, gratuità del servizio, solidarietà, beneficenza, fare del bene, opere sociali, volontariato. Le risposte vanno tutte bene ma nessuna è davvero corretta.
Solo il termine di assenza di profitto ci si avvicina senza, tuttavia, soddisfare in pieno il significato.
NONPROFIT significa che gli eventuali utili raccolti devono essere, per legge, destinati all’attività d’impresa e non suddivisi tra i soci. Ciò porta con sé diversi aspetti interessanti:
- non è poi vero che non si debba avere a che fare con il denaro;
- che il denaro è il mezzo per raggiungere gli obiettivi statutari;
- che senza denaro si fa sì ma fino a un certo punto.
- l’obiettivo è chiaro?
- la strada per raggiungerlo è praticabile?
- ho i mezzi per raggiungerlo?
- c’è mercato?
- quali sono gli altri attori con cui mi dovrò confrontare?
- faccio la differenza?
Diversamente il rischio reale è la replicazione poco produttiva di qualcosa di già esistente. Per cui forse varrebbe la pena inserirsi in un meccanismo già attivo, rodato e che funziona in modo da evitare dispersione di risorse.