Quando una persona dona, non lo fa quasi mai per un motivo banale o identico a quello di un’altra. C’è chi è mosso da una profonda gratitudine, chi si fida ciecamente della missione, chi ha l’abitudine di contribuire e chi, semplicemente, si è sentito parte integrante di una storia che meritava di essere sostenuta.

Comprendere questo universo di motivazioni — e, di conseguenza, sapere come tessere una conversazione con ciascuno — non è una questione di marketing, ma la competenza più sottile e decisiva del fundraising. Non la chiamerei semplicemente segmentazione, anche se è questo il termine corretto, ma empatia strategica: ovvero, l’abilità di riconoscere ogni differenza, onorarla e tradurla in un messaggio che arrivi dritto all’anima della persona.

Con questo sesto appuntamento, il nostro cammino Verso il Natale entra nel cuore pulsante della relazione.

Non esiste “il” donatore e stop

Dimentichiamo l’idea di un donatore monolitico e facciamo un passo oltre la “semplice”, si fa per dire, segmentazione. Non accontentiamoci di clusterizzare per dato, ma proseguiamo questo processo investigando l’emozione. Scopriremmo facilmente che ne esistono tanti di profili, tanti quante sono le sfumature delle loro emozioni. Affatto facile, lo capisco, perché ciò comporterebbe una conoscenza approfondita del donatore, ma ogni buona scuola insegna che la differenza, in fondo, sta tutta lì e che la redemption – la restituzione dell’investimento – dipende da quanto ne sai e comprendi a fondo chi ti sostiene.

Proviamo allora a semplificare. Se dovessimo tracciare una mappa, potremmo provare a distinguere quattro profili fondamentali (di motivazione del dono), ognuno con il proprio linguaggio emotivo. Ho provato a classificarli, costruendone/identificandone i tratti che riporto qui di seguito:

Certo, la maggior parte dei donatori è un mix, un cocktail di queste motivazioni. Ma iniziare da queste tipologie ci permette di calibrare il messaggio, per parlare con la persona vera, e non solo con una categoria astratta.

Oltre il contenuto, la modulazione del tono

Non è sufficiente cambiare cosa diciamo, dobbiamo affinare il tono con cui lo facciamo.

A Natale, la tentazione è quella di alzare il volume emotivo. Tutti raccontano storie toccanti, tutti chiedono supporto, e questo si trasforma in un eccesso di comunicazione all’interno della quale è necessario sapersi muovere ed emergere. Per farlo, l’unica via è l’autenticità. Non serve alzare la voce, ma serve saperla modulare.

Immaginiamo di dover finanziare un nuovo ambulatorio. Lo stesso progetto, quattro conversazioni diverse:

  • All’empatico diremo: “Grazie al tuo cuore grande, oggi una mamma ha potuto garantire una notte serena e al sicuro per suo figlio.”
  • Al razionale diremo: “Con il tuo aiuto, 125 famiglie hanno ricevuto assistenza sanitaria gratuita negli ultimi 6 mesi. Ecco i dati che lo dimostrano.”
  • Al partecipativo chiederemo: “Insieme abbiamo raggiunto metà del nostro obiettivo per l’ambulatorio. Ci sei anche tu per l’ultimo, decisivo traguardo?”
  • Al pragmatico diremo: “Mancano solo 2 giorni per completare i lavori del nuovo ambulatorio. Ogni tua donazione ci porta più vicini al risultato finale e operativo.”

È questa la vera forza di una personalizzazione che ha senso: la verità della missione resta quella di sempre, ma il linguaggio si adatta per risuonare nella motivazione di chi ascolta.

A Natale si raccoglie, ma soprattutto si semina

Il fundraising natalizio è molto più di un picco di raccolta: è il momento in cui si piantano i semi delle relazioni durature. Il futuro nasce in questo momento preciso.

Per questo, ogni comunicazione deve prevedere un arco di continuità che vada ben oltre il riscontro immediato (sempre necessario, in caso di donazione):

  • Dopo il dono: ringraziare non con un messaggio freddo e automatico, ma in modo coerente con il tono usato per l’appello iniziale.
  • Dopo la campagna: tornare a raccontare i risultati raggiunti, coinvolgendo il donatore nei prossimi passi della missione.
  • Durante l’anno: mantenere vivo quel filo, non riemergendo solo al momento della successiva richiesta.

La fiducia è un albero che non cresce in un mese. Si nutre di coerenza: nel tono, nel contenuto, nella frequenza e nella presenza autentica e costante.

La cura nel linguaggio è un investimento

Ogni messaggio di dicembre è una prova generale per l’anno che verrà. Capire chi risponde meglio a un tono piuttosto che a un altro, o a un certo formato comunicativo, significa preparare il terreno per una fidelizzazione solida.

In un contesto come il nostro in cui le risorse sono sempre molto scarse e i soldi, se ci sono, vanno spesi bene e con oculatezza, la cura e la precisione nel linguaggio si rivelano la forma più potente — e, paradossalmente, la più economica — di rispetto e di efficacia.

Perché il fundraising non si improvvisa, si affina. Una parola alla volta. Una relazione alla volta. Lo so, la buona comunicazione è un mio pallino fisso, ma da qui si parte, inevitabilmente.

La prossima settimana ci occuperemo di come misurare (davvero) l’efficacia delle nostre azioni natalizie, anche senza disporre di grandi strumenti. Perché ogni gesto merita di essere capito, valutato e migliorato.

Nota: il concetto generale di “profili dei donatori” è ampiamente presente nella letteratura sul fundraising e sulla psicologia del dono (si veda ad esempio: “Psychological profiling enables more targeted engagement strategies”, Nonprofit Fundraising, link). Il framework dei quattro profili motivazionali del dono con nomi, caratteristiche, linguaggi e applicazioni operative proposto in questo articolo è tuttavia una mia rielaborazione originale, costruita sulla base dell’esperienza e delle evidenze di campo, e quindi a me attribuibile. Torneremo a parlarne più diffusamente con un testo di approfondimento dedicato.

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