L’estate sta finendo. È tempo di mailing di acquisizione. E se mettessimo in busta più attenzione invece di tanti gadget? Eleonora Terrile ci invita a riflettere sull’uso strategico delle parole dandoci qualche consiglio utilissimo e ci aspetta nell’aula di Startup Fundraising con il suo modulo Scrivere per il fundraising. Iscrizioni in corso. Buona lettura.
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Settembre è arrivato. Studenti e insegnanti tornano a scuola; chi lavora riprende la propria attività; le cassette postali si riempiono di mailing di acquisizione di varie associazioni non profit.
Da tempo osservo le reazioni dei miei genitori (88 e 85 anni), zii (84 e 85 anni), suocera (78 anni) e di altre persone avanti con l’età: “prospect” di Enti che si occupano di bambini, povertà, malattie invalidanti.
A scanso di equivoci, dico subito che non intendo sostituirmi ai test e alle statistiche di chi cerca risultati immediati e di tipo quantitativo nel direct marketing e nella raccolta fondi.
Le mie riflessioni riguardano variabili intangibili ma fondamentali: la reputazione di un’associazione non profit e la lenta e paziente costruzione di rapporti di fiducia con le persone alle quali si rivolge.
Tornando a genitori, zii, suocera e conoscenti, ho visto che la loro risposta a parole strappalacrime, gadget e richieste a fare la differenza è il volo nei cestini di carta e plastica della raccolta differenziata.
Davanti a buste piene di cartoline, agendine, calendari e shopper mi chiedo se potremmo usare quei soldi, tempo ed energie per fare altro.
Di fronte a parole svuotate di senso dopo anni di rimbalzi fra mailing, dem, banner, paure e dolori ricalcati da associazione in associazione, mi chiedo come trattare chi vogliamo avvicinare.
La mia proposta è mettere nei mailing di acquisizione parole ricche di senso, sensibilità, attenzione.
So bene che il successo di un mailing si gioca in busta e nell’incipit della lettera. Aggiungo però che un mailing di acquisizione è un estraneo che entra in casa senza essere invitato. E quando in casa ci sono persone anziane, sensibilità, educazione e attenzione dovrebbero essere la regola.
Allora:
perché arrivare da mia mamma con la foto di una bambina con paralisi cerebrale, una pressante richiesta d’aiuto e tante cartoline a fiori, fuori contesto?
Perché parlare a mia suocera del dramma della paralisi cerebrale (ancora?), accompagnando un’urgente richiesta di sostegno con una penna e un’agendina?
Immaginiamo di guardare negli occhi le persone alle quali ci rivolgiamo e chiediamoci che cosa facciamo provare loro. Noia? Peso? Sollievo? Curiosità? Sdegno? Pena?
Che impressione facciamo: buona? Cattiva?Riusciamo davvero “a fare la differenza”, anche nel linguaggio che usiamo?
Le parole danno forma alla realtà, alle percezioni, alle emozioni. Le parole pronunciate o scritte con un certo tono risuonano in chi ci ascolta o legge.
Scriviamo per farci leggere, capire e avvicinarci alle persone, non solo per chiedere, chiedere, chiedere. Scriviamo per colmare le distanze fra noi e quelli che vorremmo diventassero nostri sostenitori.
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