Uno dei grandi crucci che vincola il professionista del nonprofit è il legame alla causa.
Vorrei sfatare un luogo comune. Un professionista è un professionista. Che gli si chieda di sposare un ideale o – ancor più, se è egli stesso a imporselo – è, a mio modo di vedere, una forzatura.
Più semplicemente, un professionista può sposare una causa ma, conditio sine qua non, deve credere nella causa per ottenere risultati importanti. La differenza tra credere e sposare è sostanziale.
Bravura, competenze, creatività, spirito geniale sono tali se lasciati liberi di esprimersi senza obblighi. Se poi i due aspetti coincidono, tanto meglio ma ciò non ha ripercussione alcuna sulle performance.
Tralasciando per ovvietà l’aspetto retributivo-contrattuale, a mio modo di vedere è forse questo l’aspetto che più di ogni altro distingue un volontario in una ONP dal professionista di una ONP.
Pensiamoci al prossimo colloquio di lavoro. Questo tipo di approccio può metterci nella condizione di vivere con maggiore serenità il confronto con l’organizzazione. In altri casi, questa consapevolezza può aiutarci nel decidere di intraprendere percorsi diversi e più in linea con le nostre aspettative, sebbene il bene che ci lega all’ente sia radicale.