Il mio ultimo post 9 cose da fare nei primi cento giorni di mandato ha ottenuto un successo considerevole. Su questa scia, c’è un tema ulteriore di cui parlare, che merita un’attenzione particolare e che percorre tutto l’arco della carica e accomuna moltissimi degli enti che ho incontrato negli anni: il senso del dovere.
A cosa mi riferisco, esattamente? Mi riferisco a quella condizione per cui consiglio e presidente, pur comprensibilmente, si sentono investiti di una responsabilità tale da caricare su di sé tutti gli impegni possibili per non deludere chi ha mostrato loro fiducia.
Tale senso del dovere porta ad alcuni errori di valutazione che, al pari di una gestione non curante, rischiano – con il tempo – di mettere a rischio la stabilità dell’ente.
Vediamo quali.
Il direttivo è in rappresentanza dell’assemblea dei soci e agisce su suo mandato.
Vero, però ciò non significa che i compiti dell’assemblea finiscano il giorno dell’elezione o all’approvazione del bilancio. Il compito dei soci è vigilare affinché il consiglio agisca bene e agire prontamente qualora ciò non accada. Il principio di delega è sacrosanto, ma l’associazione appartiene ai soci: questa è premessa e va ricordato chiaramente al bisogno.
I soci hanno doveri, non solo diritti.
I soci hanno il dovere di partecipare alla vita dell’organizzazione prestando, per quanto possibile, il proprio contributo per la crescita dell’organizzazione. Solitamente si tratta di impegni ridotti ma dai quali può dipendere l’andamento di un’attività: la risposta a un sondaggio, ad esempio, o la partecipazione a un evento online (facile) o di presenza (se possibile); anche prestare quota parte del proprio tempo libero mostrandosi disponibili a compiere alcune attività; oppure cogliendo l’appello a donare contatti o quote di sostegno oltre quella sociale.
Confondere soci e community.
La vostra organizzazione nasce per rispondere a un bisogno insoddisfatto. Per molte di queste, mi riferisco, in particolare, alle associazioni che esprimono rappresentanza, la stabilità è data dal sostegno di pari che, pur non volendo responsabilità, contribuiscono attraverso la propria quota ad allargare base sociale e incidono sul peso specifico. Questa adesione non sempre si esaurisce con il senso di appartenenza e a questa base sociale vanno garantiti servizi esclusivi che la giustifichino.
Cosa succede se prevale il senso di responsabilità tale da confondere soci e community? Cosa succede, ad esempio, se nel gruppo aperto di Facebook trovo i medesimi servizi che l’organizzazione propone ai propri associati?
Succede che possono insorgere meccanismi di opportunismo tali per cui a lungo andare viene meno il motivo che vede “vantaggioso” essere iscritti ufficialmente perché tanto “la differenza non c’è”. Così facendo, la riduzione del numero dei soci è ineludibile, così come il suo peso specifico. Confondere i bisogni del marketing con i doveri istituzionali è dunque controproducente e quasi mai porta a un allargamento della base sociale: pensare il contrario trae in inganno. I modi per portare avanti le cose contemporaneamente ci sono e sono anche più di quel che si pensi.
Per concludere.
Quelli che riporto sono errori di valutazione comuni prodotti dal senso del dovere e da un approccio culturale al nonprofit tradizionale e caritatevole. Un approccio che va benissimo, ci mancherebbe, ma che presto o tardi finisce con il frenare la crescita dell’organizzazione. Aiutare senza che ciò diventi un boomerang è azione necessaria.
Se vuoi, insieme possiamo trovare il modo più adatto alle tue esigenze.
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