Proviamo a fare un piccolo esercizio di immaginazione: pensiamoci al 2030. Immaginiamo di lasciarci per un momento alle spalle questo paradossale (è proprio il caso di dirlo) 2020. Cosa auspichiamo?

Leggendo i dati e i risultati di solidarietà rilevati nel momento topico dell’emergenza, sembra che il Covid abbia evidenziato quanto sia rilevante aprirsi a processi collaborativi allargati in risposta a stati di bisogno di natura di tipo emergenziale. Ma non solo, aggiungerei. Guardare alla sostenibilità muovendo da questo approccio, facendolo in modo serio e consapevole, può diventare obiettivo ultimo di un processo sistematico che parta da un approccio culturale al Terzo settore e ai bisogni collettivi che questo rappresenta diverso dalla visione assistenzialista ancora molto presente e purtroppo allargata.

Per fare ciò, sarà necessario:

  • alzare lo sguardo dal proprio ombelico: è diffusa la percezione che la natura degli organismi del Terzo settore sia prevalentemente autoreferenziale e che la costituzione di Reti sia un concetto di fatto lontano dalla sua maturità. La richiesta al cambio di paradigma proviene già da tempo da Europa e Fondazioni che chiedono che per erogare vi sia di base preferibilmente una visione di rete e una comunità di intenti.
  • Questo cambio di paradigma deve necessariamente passare dal lavoro sul singolo e sulle competenze. La formazione è dunque condizione per arrivare alla consapevolezza di una sostenibilità di lungo periodo e, con essa, al raggiungimento degli obiettivi sociali individuati. Senza le giuste chiavi di lettura della complessità dei sistemi, delle reti, delle dinamiche, la sostenibilità è effimera e dispersiva.
  • C’è poi il lavoro sulla propria distintività, fondamentale per allargare la propria fetta di mercato e la notorietà in un contesto spesso indistinto. Questo aspetto ha portato negli anni le organizzazioni al numero attuale, circa 345mila, con una moltitudine di enti piccoli incapaci di incidere in termini differenziali. La Riforma del Terzo settore dovrebbe avere il merito di andare in questa direzione, risolvendo in parte la dispersione dell’efficacia (e dell’efficienza, naturalmente).
  • Un ultimo aspetto, che ritengo centrale e fortemente intrecciato coi temi precedenti, è il necessario passaggio da leadership a governance. Consapevolezza e responsabilità diffusa e non centralizzata comunque è distante dal concetto di democraticità strutturale nel senso più povero del termine. Un nuovo modello di democraticità meritocratica e meritoria in cui il valore della comunità reale e delle proprie community si fondi su sodalizi maturi e proattivi proiettati in avanti.

In tutto questo, il lavoro sulla maturità del sistema attraverso la formazione è fondamentale. Chi si muove con visione in questo ambito, lo sa bene.

Occorre educarsi a una nuova cultura, più realista e partecipata, alla sostenibilità.

Post originale pubblicato su La Zanzarella.

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