Nel mio recente post di ritorno dall’America, ho osservato come questo popolo, probabilmente grazie a un vocabolario più semplice rispetto al nostro, tenda ad andare dritto al punto senza farsi condizionare da fronzoli. Questa modalità di comunicazione, che si rispecchia nel comportamento diretto e poco interpretabile delle persone, riflette un approccio pratico e senza ambiguità.
In un mio articolo precedente, suggerivo alcune strade e ricordavo quanto sia importante puntare sulla semplificazione, e di come la chiarezza e l’autenticità siano cruciali affinché il messaggio arrivi fluido e comprensibile al destinatario. La tendenza a utilizzare un linguaggio complesso per apparire più raffinati o professionali rischia, paradossalmente, di generare incomprensioni e fraintendimenti. In un contesto dove il politicamente corretto non è più una semplice moda ma una prassi diffusa, è fondamentale che la comunicazione rimanga autentica e genuina, piuttosto che diventare un esercizio di convenienza o opportunismo.
Per restare ancorati a questo tema che mi è molto caro, ci sono due interventi particolarmente interessanti in questo periodo su cui desidero portare la tua attenzione e che hanno a che vedere con i comportamenti comunicativi: il primo è sulla gentilezza; il secondo, sull’attribuzione di senso.
Gentilezza
Il primo è l’intervento, semplice e condivisibile, di Jacopo Perfetti su LinkedIn. Jacopo è Co-founder di PromptDesign.it e si occupa di Intelligenza Artificiale Generativa. Ho avuto il piacere di seguire un suo corso sull’AI e devo dire che mi ha davvero colpita. Nel suo post che trovi qui, riferisce che (semplifico):
Con l’avvento dell’Intelligenza Artificiale Generativa, il futuro del lavoro sarà definito dalla gentilezza: chi non sa essere empatico rischia di essere sostituito da macchine. La gentilezza diventerà dunque una competenza sempre più preziosa e insostituibile.
Questo aspetto mi spaventa non poco, poiché ritengo che una gentilezza finta non sia altro che ipocrisia. È chiaro che le persone dovrebbero imparare a essere gentili nel loro stile, nelle loro attività e nel loro modo di essere, ma se questa gentilezza è imposta, quanto abbiamo da guadagnare? Come faremo a distinguere il vero dal falso?
Senso
Il secondo tema riguarda il dibattito sul naming “Terzo settore”, che trova la sua ragion d’essere in alcune riflessioni del professor Stefano Zamagni, di cui nutro profonda stima. Molte persone ben più autorevoli della sottoscritta sono intervenute nel dibattito raccolto e promosso da Vita e sono molto curiosa di capire come la questione si concluderà. Personalmente, come comunicatore, non condivido l’idea di un cambiamento che vorrebbe veder sostituito il termine con “Settore civile”. Terzo non significa, per ciò che mi riguarda, “ultimo”, anche se per molti così parrebbe, bensì in distinzione dal primo e dal secondo. Ritengo dunque che primario sia un lavoro di tipo educativo, di istruzione di base per dirla tutta. In questo senso sono molto più vicina al pensiero di Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum del Terzo settore che, sintetizzo, ritiene che:
la politica continui a proporre al Terzo settore “vestiti inadatti” piuttosto che rafforzare il percepito di un suo ruolo di sviluppo alternativo (trovi l’intervento della Pallucchi qui).
L’introduzione di nuove etichette rischia di complicare ulteriormente la comunicazione, invece di semplificarla, finendo per allontanare il pubblico dalla sostanza.
Semplificare non significa retrocedere, ma piuttosto togliere la maschera per rivelare la verità. La complessità, diversamente, non aggiunge valore, ma spesso complica e oscura il messaggio.
In un’epoca in cui la comunicazione gioca un ruolo centrale nelle nostre vite e l’informazione sembra, diversamente, essere sempre più distante e condizionata, è fondamentale che i messaggi siano chiari, diretti e autentici. Invito dunque tutti, soprattutto coloro che operano nel campo della comunicazione sociale (ma non solo), a semplificare e rendere la comunicazione più trasparente e accessibile. I messaggi devono essere ricchi e distintivi, ma devono anche essere percepiti come veri e genuini.
La chiarezza e l’autenticità devono tornare al centro della nostra comunicazione, non solo per evitare malintesi ma anche per costruire un dialogo più sincero e costruttivo con il lettore. Il nostro è un compito importante e delicato. Da esso dipenderà gran parte della credibilità delle azioni nostre e di quelle dei nostri enti. Di questo dobbiamo essere coscienti.
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