18 Luglio 2022

Rimettiamo al centro il “perché”

Chiediti perché prima ancora di come.

È questo, in estrema sintesi, il pensiero di Christian Elevati (e il mio, aggiungerei) espresso in questo post. Peccato che sempre più spesso, diversamente, ci si preoccupi di agire senza analizzare le giuste premesse e perdendo di vista le finalità.

Buona lettura.

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Sono anni veramente complessi, fatti di crisi integrate (clima, migrazioni, conflitti, pandemie, sovranità alimentare, diritti dei lavoratori, invecchiamento della popolazione, crescita del divario sociale…). Parlare di Startup Fundraising in questo contesto potrebbe sembrare un vezzo da “professionisti del settore”.

Se poi pensiamo al modulo che curo personalmente (“Teoria del cambiamento e valutazione dell’impatto sociale: elementi di progettazione per il Fundraising”), la sensazione di parlare di “sesso degli angeli” è ancora più forte.

Il fatto è che, nel lavoro quotidiano, continuo a incontrare ETS concentrati a contare “le noccioline che distribuiscono”, a fare i conti con entrate trimestrali mai soddisfacenti, che cambiano continuamente personale e strategie di fundraising e ogni volta ripartono da capo (quando non tornano indietro…).

  • Organizzazioni che prima escono con ricerca di personale e poi disegnano la strategia di raccolta fondi, come se non fosse la seconda a dovere guidare la prima.
  • Organizzazioni che hanno una Mission, ma se ne dimenticano il giorno dopo averla definita, troppo presi a inseguire non importa quale finanziatore purché tappi l’ennesimo buco di bilancio, anche se le linee guida dei bandi sono per loro distanti anni luce, per contenuti e per storia.
  • ETS che confondono la necessaria flessibilità di chi come noi ha scelto di misurarsi con le complessità dei problemi del sociale, con il trasformismo che regala l’illusione (fugace) di potere raccogliere fondi un po’ da tutti, inseguendo le mode o l’ultima crisi del momento.
  • Organizzazioni che hanno più a cuore la propria sopravvivenza che la loro reale capacità di costruire un mondo migliore per tutti.

Manca totalmente una visione – mi verrebbe da dire “politica”, nel senso più nobile e letterale del termine –, di medio lungo periodo, che senza derogare alla necessaria flessibilità di cui sopra, tenga la barra a dritta verso un futuro in grado di trasformare la società in meglio, insieme alle comunità con le quali lavoriamo. Una visione che non ha paura di misurarsi con i fallimenti e che si mette alla prova di sistemi di valutazione organizzativamente sostenibili e rigorosi al tempo stesso, perché ci tiene a migliorare continuamente, a restare in una posizione di ascolto e di apertura nei confronti dell’altro.

E allora ben vengano percorsi integrati e intensivi come Startup Fundraising, che rimettono al centro le persone, il dono e, da ultimo, il perché facciamo quello che facciamo.

Siamo costruttori di speranza e artigiani del cambiamento. Oppure burocrati schiacciati sul fare e col fiato corto?


STARTUP FUNDRAISING TORNA A SETTEMBRE, IN AULA O DA REMOTO.
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