È successo il 30 gennaio di quest’anno. Una distrazione, una caduta rovinosa, una frattura multipla scomposta con la rottura di tibia e perone e tutto cambia. Da un momento all’altro tutto assume una dimensione diversa e si fa scuro.
Cinque mesi oggi, tre interventi invasivi e, fino a poco tempo fa, nessun segnale di ripresa. Farmaci e antidolorifici pesanti. Gli ospedali e le visite settimanali. La fisioterapia avviata, poi vietata e poi nuovamente concessa. Il dolore continuo che fatica a passare. Un callo osseo che, solo oggi, dà i primi segnali e che si forma con estrema lentezza.
Sono stati mesi difficili, i miei. Non solo per me, ma per la mia famiglia in primis che ha dovuto fare i conti con una donna autonoma, a tratti egocentrica, di fatto sempre felice, ottimista e operosa che tutto d’un tratto non è stata più in grado di fare nulla e ha dovuto affidarsi e riconoscersi una fragilità fino a quel momento sconosciuta.
Ho affrontato quanto davo per scontato, costruendo nuove abilità perché l’acqua alta che mi è arrivata alla vita, e poi più su, mi ha insegnato a nuotare.
Oggi sto imparando nuovamente a camminare. Il percorso di ripresa sarà lungo, mi è stato detto. Rimettermi in piedi, ora, mi dà sensazioni nuove. La cosa più difficile è stata constatare che mio figlio sia ormai alto quanto me. Vederlo dalla carrozzina mi ha fatto perdere di vista quanto stesse accadendo. Probabilmente l’aver perso il percepito di quella crescita è la cosa che più faticherò ad accettare.
Ho imparato sulla mia pelle cosa significa vivere la disabilità e le difficoltà connesse. A guardarmi e a guardare in modo diverso. Sono fatalista e questo mi porta a dire che se questo incidente è occorso è perché così doveva essere e avevo da imparare da questo evento. Probabilmente il disegno non mi è chiaro ora, ma tutti gli elementi concorrono a ricordarmi di vivere il qui e ora, intensamente.
Gli scorsi mesi sono passati nel silenzio sebbene non abbia smesso un giorno di lavorare. L’aiuto dei colleghi dell’Agenzia hanno sopperito alla mia presenza fisica qualora richiesta e mi hanno fatto sentire sostenuta. Mai sola.
Mi affaccio a questi due mesi estivi con una maggiore serenità, pronta ad affrontare con rinnovato entusiasmo i mesi che verranno sebbene – già so – dalla mobilità ridotta e incerta, forse… Tornerò a camminare con disinvoltura e a correre come facevo prima, non mi arrendo in fretta. Tuttavia, i 120 punti che ho sulla gamba saranno lì a ricordarmi che occorre sempre guardare dove si mettono i piedi e a fare attenzione a chi ci si accompagna perché non è detto che tutti siano disposti ad esserci, quando ne avrai davvero bisogno. Sto imparando che non si smette di imparare e di non dare nulla per scontato. Di non correre troppo o eccessivamente perché non serve, ma di concentrarsi su tutto il bene che già si fa, migliorando se possibile. Senza ansia inutile perché quel che deve essere, sarà.
Quell’ottimismo, sebbene nei mesi abbia imparato anche la cautela, non ha smesso di accompagnarmi. Così, a cinque mesi giusti da quel giorno, consegno il prossimo libro che uscirà i primi di settembre. Un libro impegnativo, consistente, corale. Riparto, se mai mi fossi fermata davvero, da qui. È una promessa che mi faccio, me lo devo.