A distanza di tre mesi, non riesco ancora a guardare la foto del piccolo Aylan Kurdi, trovato senza vita a 3 anni sulla spiaggia turca di Budrum mentre con il fratellino Galip, mamma e papà cercava di raggiungere un futuro più felice, scappando dalla guerra e dalla ferocia in Siria. Anche ora che sto scrivendo questo post e mi devo in qualche modo documentare per non sbagliare date, nomi, situazioni. Sono una mamma e come tale il mio animo rifiuta questo genere di immagini. Mi fanno male dentro, così come ancora mi fa male il pensiero dei tanti bimbi affogati oltre 2 anni fa nella stiva di un barcone, cercando di raggiungere le nostre coste, cui mi riferivo in un mio post su questo blog il 20 novembre 2013, in occasione della Giornata mondiale dell’infanzia. O dei tanti bambini le cui storie, tutte uguali, ci arrivano dalle pagine dei giornali e ci raccontano nuove sofferenze.
Il parlare di comunicazione applicata al fundraising durante il mio intervento all’Università di Genova mi ha fatto pensare. Sì perché ci sono cose che non sempre sono chiare subito e riesci a metterle in fila in modo ordinato perché qualcosa ti scatta dentro. E’ in quel momento che vedi tutto sotto un’altra luce e tutto assume contorni decisamente più definiti e regolari.
Ti accorgi così che non tutte le immagini sono uguali. Ci sono storie che ti toccano dentro e che ti fanno male. Altre, invece, ti fanno pensare. Altre ancora ti irritano, lasciando l’amaro in bocca. Ci sono immagini che scuotono il mondo e che vanno viste, che è giusto vederle. Altre no. Altre semplicemente sono strumentali anche se di fatto raccontano drammi. Drammi, ripeto, non esperienze.
Ne scrivo su La Zanzarella su Vita.it, proseguendo un confronto importante che arriva da più parti. Se sei interessato, ti invito alla lettura e a intervenire con il tuo punto di vista.
(La storia di Aylan e il disegno qui sopra sono ripresi dall’Huffingtonpost a questo link).
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