In questo periodo ho la fortuna – e la responsabilità – di essere immersa in più ambienti contemporaneamente: le aule, gli incontri con le organizzazioni, i confronti con colleghi e colleghe. Contesti diversi, ma un tema che si ripresenta di continuo: la necessità di arrivare subito.

“Dobbiamo esserci”. “Bisogna partire ora”. “Ci serve una campagna che funzioni da subito”.

Tutto comprensibile. Ma a volte la fretta diventa un mantra vuoto. Il bisogno di arrivare subito – a risultati, a visibilità, a raccolta fondi – rischia di diventare un obiettivo in sé. E in quel caso, non premia. Anzi, spesso tradisce.

Il mito dell’immediatezza

Arrivare subito è allettante. Fa sentire reattivi, efficaci, sul pezzo. Ma non è detto che sia sinonimo di strategia. E soprattutto, non è detto che porti lontano.

Molte volte, l’arrivare subito è frutto di circostanze fortuite, quasi casuali. E la fortuna – diciamolo – non sempre bacia le urgenze, nonostante quanto se ne dica.

Poi c’è un’altra faccenda: l’urgenza genera evanescenza.

Quando tutto dev’essere fatto in fretta, tutto rischia di durare poco. Le comunicazioni sono impattanti, a tratti accattivanti, ma si dissolvono in fretta. Restano come vapore nella memoria del pubblico.

In molti casi, ci affidiamo a quella che – con affetto, ma senza indulgenza – chiamo comunicazione fuffa.

Non perché sia priva di contenuti. Ma perché è costruita su strategie fuffa appunto: apparentemente strutturate, ben confezionate, ma deboli alla base. Una volta tolti gli arzigogoli, resta poco. Troppo poco per costruire qualcosa che resista al tempo.

Comunicare come si mangia

Tra le cose più sagge che ho imparato studiando comunicazione, c’è questo: comunica come mangi.

Con parole semplici, con concetti chiari, con onestà. Le sovrastrutture, anche quando funzionano sul piano estetico, spesso servono più a mascherare che a spiegare. A far sembrare, più che a far capire.

Chi comunica per il sociale, e chi lavora nel fundraising in particolare, dovrebbe saperlo bene.

Non si costruisce fiducia con l’affanno. Non si costruisce legame con l’urgenza. E non si costruiscono risultati duraturi con messaggi che evaporano.

La strategia batte la scorciatoia

Certo, ogni tanto bisogna provare. Sperimentare. Sbagliare.

Ma la mia esperienza – che viene dal campo, non dalla teoria – mi dice che senza una buona pianificazione, e senza una vera conoscenza dell’organizzazione, si arriva a traguardi che sembrano successi, ma sono mete volanti. E si riparte da capo, ogni volta.

Allora viene da chiedersi: è questo che vogliamo davvero?

Dipende, ovviamente. Dipende da cosa si sta cercando.

Ma se si cerca impatto, solidità, crescita, allora il tempo è un ingrediente, non un ostacolo.

Bisogna saper entrare nel bosco, mi piace dire. Perché è lì, nel fitto delle cose complesse, che si trovano i legami veri.

Al tempo stesso, però, una collega mi ha fatto riflettere quanto, di tanto in tanto, ci sia la necessità anche stare in un bel giardino. Di tanto in tanto, eh!?, che non diventi inerzia. Perché le persone hanno anche bisogno di leggerezza, di bellezza, di fiori e di buon profumo.

Ha ragione. Nulla da obiettare. Sfida e leggerezza sono due volti della stessa medaglia.

I fundraiser come giardinieri planetari

Ecco perché penso che il nostro lavoro dia il meglio quando unisce visione e concretezza, creatività e metodo, sogno e disincanto.

Quando riusciamo a tenere insieme questi elementi, diventiamo – come ho scritto qualche tempo fa – dei veri giardinieri planetari (ne ho parlato tempo fa in questo bell’articolo estivo che ti invito a leggere o, in caso, rileggere).

Non tutto quello che semini darà frutto. Ma ogni seme ha un potenziale.

E ogni risorsa investita, se ben orientata, ha valore. Anche quando non produce un risultato immediato.

Rinunciare troppo in fretta, nel nostro mestiere, vuol dire sprecare valore. Vuol dire guardare solo al presente, perdendo di vista tutto quello che potremmo essere domani.

Il nostro approccio deve essere strutturato, consapevole, disincantato e sognatore quanto basta.

Non è facile. Ma è quello che ci permette, davvero, di cambiare le cose. Un gesto alla volta. Un progetto alla volta. Una persona alla volta.

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