Il settore non profit, mi riferisco in modo particolare alle organizzazioni di piccole, piccolissime e, talvolta, medie dimensioni che sono nel perimetro diretto del mio osservatorio, sembrano ancora sottovalutare l’importanza della pianificazione strategica.
C’è come un’idea diffusa che questa attività possa distoglierle dal lavoro essenziale a beneficio degli utenti, quasi fosse una deviazione fastidiosa dal cuore vero dell’attività.
Tuttavia, in un contesto in cui i principi ESG (Ambientale, Sociale e Governance aziendale) stanno guadagnando sempre più rilevanza, diventa imperativo chiedersi se possiamo davvero permetterci di trascurare la pianificazione. Queste tre dimensioni fondamentali sono ormai cruciali per valutare, misurare, controllare e sostenere l’impegno di un’impresa o un’organizzazione nei confronti della sostenibilità, e vanno a impattare in modo sempre più decisivo sulle scelte d’acquisto, investimento e, naturalmente, di dono.
Anche se quest’attenzione si concentra ora sul profit, in un futuro non tanto lontano, il loro impatto riguarderà tutti gli enti in genere: il non profit non può e non deve dunque sentirsi chiamato fuori da un cambiamento a mio modo di vedere irreversibile.
L’improvvisazione non sarà più un’opzione valida.
Pianificare strategicamente diventa essenziale e necessario, soprattutto in termini di sostenibilità.
Per chi mi segue da tempo, sa bene come io abbia sempre sottolineato il fatto che nel fundraising il problema principale non sono i soldi (vai al post di tanti anni fa). Spesso, la vera prova sta nell’approccio all’organizzazione stessa. Analizzare internamente è fondamentale perché è da qui che scaturiscono le sfide:
dalla governance con problemi irrisolti,
a un approccio eccessivamente idealistico alla causa che può frenare la crescita dell’ente,
fino a una visione troppo semplificata di costi, investimenti, ricavi e proventi.
Queste questioni impattano sull’evoluzione organizzativa, che a sua volta si riflette nell’identità e nella comunicazione esterna, elementi coerenti e determinanti che influenzano direttamente la generosità dei donatori.
Nel contesto della raccolta fondi, pensare strategicamente diventa dunque cruciale, laddove il punto di arrivo non è tanto l’obiettivo di raccolta, anche se sacrosanto, quanto il percorso che a questa conduce:
un percorso che non solo deve consolidare la raccolta stessa, ma mirare principalmente a organizzare o riorganizzare la presenza esterna partendo da un approccio imprenditoriale verso la buona causa stessa e ai modi in cui l’ente pensa e agisce al suo interno.
La chiave sta nell’arrivare ad armonizzare la visione esterna con le azioni interne, creando un tessuto organizzativo che sia adattabile e reagente, sostenibile e in grado di comunicare, in modo efficace, il proprio impatto, da qui in avanti.