Arriva sempre il momento di cambiare. Ciò avviene in due occasioni:
- quando le cose vanno male, e allora il cambiamento si rende necessario o sono guai;
- quando le cose vanno bene, e allora cambiare è necessario per fare “il balzo”.
Tra le due situazioni non c’è differenza se non lo stato d’animo con cui accompagniamo la prima o la seconda. Quando questo momento arriva, se sei alla testa della tua organizzazione, lo percepisci chiaramente.
Nel confronto con le piccole associazioni, mi viene espresso apertamente il desiderio di fare di più. Questo desiderio, tuttavia, finisce con il rimbalzare su alcuni muri di gomma a volte davvero difficili da abbattere.
Alcuni sono tabù culturali, altri semplicemente prese di posizione un po’ miopi che impediscono all’ente di crescere, altri ancora limiti strutturali ed economici. Vediamoli tutti e tre:
- Nel primo caso, il limite è legato prevalentemente a un’idea romantica del nonprofit, in cui il denaro mal si combina con la natura dell’ente: la sua ricerca, un danno; il volontariato è principio e fine. Ecco cosa penso: il volontariato è benedetto e indiscutibile, l’anima del nonprofit. Tuttavia, con la buona volontà le cose si fanno, ma fino a un certo punto. Per costruire gli ospedali, ci vogliono soldi e beni. Tanti soldi e beni.
- Nel secondo caso, prevale l’idea che il “si è sempre fatto così” sia la soluzione. Se ha funzionato fino a ora, perché non dovrebbe funzionare sempre? Ti dirò: comprendo che si sia sempre più propensi a tenere ferme le cose per timore di perdere ciò che si ha piuttosto che cercare di evolvere. Di fisso, però, non c’è nulla. Esistono fasi e le fasi hanno un inizio e una fine. Diventa importante prenderne atto per andare oltre in modo che nuova energia rigeneratrice possa fare la sua comparsa.
- Nel terzo caso, il problema sono gli investimenti: mancano i soldi e questo diventa un problema sostanziale. Da qualche parte, però, occorre pur partire. In questo caso, faccio riferimento alla capacità dell’imprenditore. L’imprenditore, benché sociale, ha due caratteristiche che dobbiamo ricordare: la capacità di intravedere il business e la propensione al rischio. Nel primo caso, si tratta della facoltà di vedere cosa c’è oltre l’oggi e risponde alle domande: cosa voglio essere a tre/cinque anni a partire da oggi? Dove voglio arrivare? Nel secondo caso, la consapevolezza che non si può fare gli imprenditori senza investire per primi e quest’investimento non può essere che trasversale. Non più solo di tempo, dunque. Richiede sacrificio anche economico. E poi, ciò non significa che gli investimenti siano impossibili. Basta lavorare passo passo, facendo il passo, appunto, secondo gamba.
La Riforma del Terzo settore, se vogliamo imputare il cambiamento a un agente esterno qualora facessimo fatica ad accettare che questo parte primariamente dall’interno, richiede – pretende – che si cambi il passo. Richiede organizzazione del lavoro, processi, investimenti. Richiede, in sintesi, senso del dovere, un senso del dovere diverso perché offre diritti reali.
Quanto sei pronto a rischiare, presidente, per raggiungere gli obiettivi dell’ente di cui ti sei posto alla testa?
Se vuoi essere attore del cambiamento, devi accettare e cambiare. Trova il coraggio di provarci. Assumiti il rischio e vai oltre.
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