La pubblicità è sempre stata qualcosa che ha accompagnato lo sviluppo economico.
Si usa dire che “la pubblicità sia l’anima del commercio” ma, a furia di sentire questo luogo comune, abbiamo finito con il valorizzare la parola commercio dimenticandoci il senso della parola “anima”.
Comincia così, Aldo Grasso, sul palco di #pubblivorisociali, l’iniziativa organizzata da Fondazione Pubblicità Progresso che si è tenuta nei giorni scorsi all’Unicredit Pavillon a Milano e che apre il Festival della comunicazione sociale, kermesse sul tema che prevede una serie di appuntamenti che si concluderanno il prossimo 23 novembre (programma qui).
La pubblicità ha contribuito, negli anni, al cambiamento e all’educazione sociale. Grazie a Carosello, se ci pensiamo bene – continua Grasso -, gli italiani hanno imparato anche a lavarsi!
In termini di linguaggio, alla pubbliciatà (e al lavoro del pubblicitario, ndr) va dunque riconosciuto un lavoro culturale sostanziale e un lavoro di travaso continuo.
Un trasferimento di informazioni – racconta – che ha portato a livello di comunicazione comune esempi alti diversamente incomprensibili ai più. Noi spettatori siamo destinatari di un processo articolato di setaccio da parte delle agenzie di comunicazione di temi ripresi da altri ambiti e riversati in quello pubblicitario che ha reso popolari, ovvero alla portata di tutti, contenuti e nozioni prima sconosciuti.
Da qui, dunque, la pubblicità assume un ruolo educativo. Sociale, appunto. Ma in tutto questo, qual è la funzione centrale che dovrebbe ricoprire la comunicazione in ambito sociale e qual è il livello qualitativo della pubblicità sociale nel Belpaese?
La pubblicità sociale si occupa di noi e dei nostri bisogni. L’impegno dovrebbe dunque essere superiore ma questo quasi mai avviene. Rispetto all’estero, c’è una distanza enorme. In Italia siamo vittime del moralismo: andiamo al minimo come se avessimo vergogna di affrontare questi temi nel modo in cui in realtà dovrebbero essere affrontati. Le buone intenzioni – continua – servono a lastricare la strada che porta all’inferno ma non certo a fare buona comunicazione.
La comunicazione sociale sembra quindi essere piena di buone intenzioni ma, al tempo stesso, sembra lontana dal comunicare efficacemente. Detto in altri termini, dovremmo imparare a fare cose belle, oltre che a fare cose buone.
Qualcosa comunque sta cambiando. Il merito va ai nuovi media la cui la distanza tra emittente e destinatario è ridotta, di fatto, a zero, e grazie ai quali risulta immediatamente intuibile la temperatura e l’efficacia di una campagna. Non ci sono più alibi che tengano:
Il cambiamento in atto è dato dalla trasformazione dei media – conclude Aldo Grasso -. I media non sono più mezzi bensì ambienti che permettono di vivere una realtà aumentata. Non viviamo solo una vita reale fatta di fisicità ma viviamo una realtà fatta di virtualità in cui la distinzione tra i due ambienti è nulla.
A proposito di comunicazione sociale. E’ di fresca pubblicazione, il volume I linguaggi della comunicazione sociale scaricabile gratuitamente qui in formato pdf, edito da Fondazione Pubblicità Progresso e curato da Rossella Sobrero.
Nella premessa, Alberto Contri, alla guida della Fondazione da più di sedici anni, scrive:
In Italia il linguaggio più utilizzato è quello che potremmo definire “commuovente” che però non arriva quasi mai ad essere “drammatico”. Nel nostro Paese i pareri sull’utilizzo di un approccio troppo aggressivo sono contrastanti. (…) l’effetto rimozione è in agguato. Le persone tendono infatti a rimuovere esperienze traumatizzanti che suscitano angoscia e provocano uno stato di dissonanza emotiva.
Insomma, per i comunicatori sociali è un continuo lavoro di cesello. Una ricerca costante di equilibrio tra morale comune e spinta creativa. Tra ciò che è bene e ciò che non lo è. Tra ciò che si vorrebbe fare e ciò che in realtà si deve fare. Una fatica che il più delle volte dà ritorni scarsi e che sembra impoverire il messaggio a più livelli, sia nella qualità che nell’efficacia.
Concludo informandoti che l’11 novembre si terrà a Roma la XIV edizione del Premio S. Bernardino dedicato alla comunicazione responsabile. Tra le finaliste, profit e non: “Autismo – Conoscere vuol dire comprendere” (Rai); “Sei una donna non ci riuscirai mai” (Codcast Channel); “A chi ama le donne” (Vodafone Italia); “Kinder Brioss – Piace a tutti i bambini del mondo” (Ferrero); “Off4aDAY” (Samsung e Moige); “Win for Meningitis” (GSK). Tra le campagne non profit, invece, concorrono: “#insiemepiùspeciali” (Telethon); “Checco Zalone a favore della ricerca sulla SMA” (FAMIGLIESMA); “Pillole di scienza #1” (Frascati Scienza); “Ricordiamoci di salvare l’Italia – I soliti italiani” (FAI); “Io dono fiducia” (L’ALBERO DELLA VITA). Trovi il comunicato qui.
Peccato non esserci.
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Aggiornamento: ad aggiudicarsi il Premio San Bernardino per la comunicazione sociale è Samsung per il Moige. Trovi il comunicato a questo link: http://agensir.it/quotidiano/2016/11/11/comunicazione-premio-san-bernardino-per-la-pubblicita-socialmente-responsabile/