iStock_000018584325XSmallCome se non bastasse, ci voleva pure il libro di Valentina Furlanetto a scaldare gli animi di un Terzo Settore fin troppo agitato e bistrattato ultimamente. E ora basta cari signori. Di questo moralismo e giornalismo investigativo dell’ultima ora ne abbiamo un po’ tutti le tasche piene. Sono davvero stanca di leggere di campagne giustizialiste da parte di chi sa poco o nulla di nonprofit o pensa di saperne solo perché fa ricerca e tira su un po’ di numeri.

Mi domando: c’è sempre consapevolezza in quel che si scrive o il fine giustifica comunque i mezzi? Lo sappiamo tutti, noi per primi, che c’è tanto che non va nel Terzo Settore. Lo sappiamo tutti, anche noi poveri attori del nonprofit che cercano di lavorare al meglio per far emergere dall’anonimato le proprie cause, che c’è molto da fare e da correggere. Le conosciamo bene le storture che ci sono proprie. E non le tolleriamo, se questo può servire a comprendere più a fondo le nostre dinamiche.

Esistono già, malgrado siano evidenti le bontà delle azioni quotidiane di volontari e operatori (retribuiti o no non fa alcuna differenza, si badi bene), dubbi e sfiducia diffusa da parte delle persone. Questi servizi non fanno che alimentarle rendendo sempre più difficile il lavoro di chi, invece, cerca di radicare fiducia e riaffermare ottimismo. Sforzi vanificati, ahimè.

Ottimo il ruolo vigile dei media che tengono alta l’attenzione sulla bontà del nostro operato e la buona fede dei nostri protagonisti. Va bene così e deve essere così perché noi, forse, non siamo in grado di farlo o, almeno, non siamo in grado di farlo nel modo giusto.

Ma un altolà è dovuto: attenzione perché la rincorsa allo scandalo a ogni costo, la notiziabilità anche laddove non c’è – perché in molti casi citati la notizia non c’è (esclusi i noti giudiziari naturalmente) – ha come grande e grave conseguenza la contrazione degli investimenti a causa delle minori entrate che pubblicità denigratoria come quella che stiamo leggendo in questi giorni provoca. E questo, l’economia insegna, incide negativamente sui servizi erogati e naturalmente riflette in modo drammatico sul numero di persone o di attività beneficiarie. E’ la dura legge del Mercato, bellezza.

Complimenti vivissimi signora Furlanetto. Grazie dell’attenzione e grazie davvero a tutte le testate che riempiono le pagine di numeri come se questi, da soli, fossero sufficienti a demonizzare il settore e gridare allo scandalo.

Va molto bene a patto che si sappia che a perderci siamo tutti: operatori, donatori, società civile e sistema di Welfare in genere.

Il successo del libro è garantito. Non ho dubbi. Il gossip piace e quando si parla di scandali e ruberie, piace ancor di più. Mi pare eccessivo e francamente scocciante etichettare un intero settore che cerca di far bene il suo lavoro nel silenzio generale. Un silenzio per noi fisiologico ma patologico se circondato dal disinteresse generale quando invece il suo mestiere lo fa bene. Io non ho numeri con cui ribattere. Sono certa e non ho dubbi sulla loro correttezza, anche se i dati vanno contestualizzati puntualmente e andrebbero fatti i giusti distinguo, così come non ho dubbi sull’illecito di alcuni. La cronaca ne parla. Allo stesso tempo, non ho dubbi sulla validità e sulla funzione sociale del restante 99% che nel nostro sistema di Welfare, affaticato e provato, fa la differenza. Più che mai ora. Così come credo nelle oltre 5milioni di persone che a diverso titolo (retribuite e non) sono impegnate nel nostro Paese, che ci credono e non per questo sono sciocche, ingenue o, peggio, opportuniste senza riserve.

Un invito signora Furlanetto: venga nei nostri uffici, un giorno. Lo passi con noi. Veda il lavoro che facciamo. Le nostre realtà. Segua un giovane nelle piazze che con passione, dedizione e tenacia raccoglie fondi per la causa in cui crede o che magari vive in prima persona. Alzi il viso dalle carte e venga sulla strada. Poi, magari, ne riparliamo.

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La polemica:

Le risposte del settore:

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