iStock_000023125552XSmallNel Medioevo, con semper fidelis ci si rivolgeva al papa a dimostrazione della propria eterna e immutata fede in Dio e nella sua rappresentazione terrena. Di ispirazione romana, questa locuzione sta a significare una stima verso un ideale, un pensiero, una persona e trova facilmente traduzione in “fedeltà” o, se preferiamo, nell’inglese “loyalty”.

Comunque lo si voglia chiamare, il tema della fidelizzazione è di certo uno dei più intriganti e complessi che contraddistinguono le professioni legate al marketing. E il fundraising non è naturalmente da meno.

Il consumatore vive e si muove in un mercato articolato ed è raggiunto da innumerevoli sollecitazioni. Il donatore, al pari del consumatore, vive e si muove in contesti in cui enti con cause simili, spesso di alto livello, si contendono la sua attenzione e il suo dono. In questa complessità, ad avere la meglio sono i comportamenti che più di altri rispondono e si adeguano a una domanda matura che, come tale, richiede trasparenza, rendicontazione, accountability con eguali maturità.

Se raggiungere nuovi prospect e acquisire nuove donazioni può essere (relativamente) semplice, garantirsi la fedeltà è certo faccenda più complessa. Lasciarsi ispirare dai modus di brand building tipici del profit può aiutarci a migliorare, in termini di efficacia ed efficienza, le performance in termini di raccolta fondi.

In linea di massima, sono riassumibili in 4 punti i fondamenti alla base delle strategie di fidelizzazione del consumatore e che possono, in tutta serenità, essere riproposte in ambito nonprofit.

1. IMMAGINE COERENTE. Un immaginario di coerenza rende in termini di stabilità e unicità. Lavorare sul brand e sulla sua notorietà (brand awarness) facilita il ricordo e, nel lungo periodo, la stabilità. Un brand va declinato con intelligenza e attenzione nei diversi strumenti e attraverso i diversi canali di comunicazione.

2. COSTRUIRE CONNESSIONI EMOTIVE. Donare il più delle volte è un atto che per il sostenitore presuppone la volontà di far parte del cambiamento rintracciabile nella vision dell’ente prescelto. Credere nella causa è determinante. Tutto parte quindi dal legame emotivo che si instaura con l’organizzazione e dall’abilità di quest’ultima di far leva sui valori del suo donatore. Senza pietismi e opportunismi, aspetti che al contrario ne ledono – nel lungo – l’immagine. Raccontare storie, coinvolgere, spingere all’azione sono solo alcuni degli aspetti che rendono il donatore attore protagonista.

3. MANTENERE ALTA LA QUALITA’ DELL’OFFERTA. Notorietà non significa permettersi il lusso di lesinare sulla qualità. Al contrario. Per garantirsi la fiducia nel tempo è necessario perpetrare in azioni di livello, primo fra tutti il mantenimento dello spessore dell’offerta. Se questo vale per un prodotto profit, a maggior ragione vale per un servizio realizzato da un ente nonprofit. Qualità chiama qualità.

4. TRASPARENZA. Racconta cosa fai, come lo fai, dove vuoi andare. Rendi conto. Le persone vogliono sapere e devono sapere, in particolare se l’oggetto dell’attenzione è una causa sociale. Ne hanno diritto. Che contribuiscano o meno.

Poi, ogni fundraiser ha modi propri per coltivare un donatore. Per restare in tema, ne cito quattro. Basici ma efficaci:

1. INVITO. Se hai un progetto che si presta, il regalo migliore che puoi fare al tuo sostenitore è quello di invitarlo in struttura. In questo modo, puoi rispondere in un solo momento ai 4 fondamenti descritti più sopra.

2. CITAZIONE. Dai al donatore la visibilità che merità ma solo se gradita. Quindi, chiedi. Interroga sui modi, sui tempi e sul grado di coinvolgimento. Evita ed evitati brutte sorprese.

3. VISITA. Calendarizzala. E’ impegnativo ma è importante investire il donatore di tempo e della giusta attenzione. Ed è estremamente istruttivo. Capire a fondo la percezione che il donatore/stakeholder ha di noi e cogliere i suggerimenti con umiltà ci permette di svolgere al meglio il nostro lavoro.

4. TELEFONATA. Come sopra. E sempre come sopra è opportuno verificare, in primis, tempi, modi e volontà.

Bisogna spendere del tempo a coltivare le relazioni esistenti che possono trasformarsi in opportunità dai risvolti inattesi.
La responsabilità sociale comincia da noi. La migrazione del dono verso altre destinazioni non è più – e non è poi – così remota.

Quelle elencate sono solo alcune idee. Chiudo con un invito a condividere: hai una strategia preferita, qualche curiosità o esperienza da raccontare? Scrivila qui.

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